martedì 4 novembre 2014

Rimini, nel nome delle donne

Inaugura sabato 8 novembre, e resterà aperta un mese, la mostra Rimini nel nome delle donne: pensata e curata da donne per restituire una lettura del territorio capace di dare riconoscimento alle figure femminili della storia.
Tra le principali promotrici del progetto Irina Imola (Assessora ai Servizi Generali di Rimini), che dice: "Attraverso una ricostruzione storica e iconografica sapientemente organizzata si riuscirà a comprendere la straordinarietà delle donne, alle quali, durante gli anni, Rimini ha dedicato propri spazi urbani. Figure femminili più o meno conosciute ma tutte ugualmente capaci di lasciare un segno importante attraverso il loro essere-nel-mondo. Donne che hanno “segnato una strada” e alle quali oggi sono dedicate vie, parchi, rotonde e percorsi. Sempre al cammino mi riferisco: a quello di essere arrivate a rendersi evidenti al mondo quando il mondo era dominato da un imperante pensiero che le relegava in una condizione subalterna e al cammino che, ancora oggi, dobbiamo compiere per affermare, come direbbe Hannah Arendt, il nostro “chi” irripetibile, nel confronto con l’unicità dell’altro. Per le donne qualsiasi tempo è stato un tempo difficile e nemmeno oggi, dopo tante battaglie di civiltà e diritti, la donna è immune da catalogazioni, prevaricazioni, violenze. È anche per questo che ogni nostra azione deve tendere a ripristinare o a raggiungere la parità dei diritti e delle opportunità in ogni ambito. La Toponomastica può compiere un’operazione morale e intellettuale fondamentale: sottrarre all’oblio e alla non conoscenza la memoria di tante donne della storia. E oggi quali strade dovremmo percorrere per costruire il mondo che vorremmo? Io credo le sole che conducano ad un cammino di inclusione, equitá, giustizia e libertà, in cui ogni individuo può vivere il suo ruolo nel mondo, in quello spazio pubblico, aperto e plurale, per la cui esistenza varrà sempre la pena combattere e che qui celebriamo. È su queste premesse che abbiamo intrapreso, per le intitolazioni della nostra città, un cammino di parità”.
Non per niente Irina Imola fa parte, fin dalle sue origini, del gruppo della Toponomastica Femminile.

Dall'8 novembre 2014, al Palazzo del Podestà, piazza Cavour, Rimini.

Da poliziotto: chiedo scusa alla famiglia Cucchi

Servo lo Stato da 26 anni soltanto grazie a un prudente disincanto che mi permette ancora di sopravvivere tra le pieghe di quel medesimo nulla costituito per lo più da ingiustizie, bugie, miserie umane, silenzi, paure, sofferenze. 
Oggi intendo rompere quel silenzio cui si è condannati quasi contrattualmente da regolamenti di servizio che impongono e mitizzano l’obbedire tacendo, perché le parole pronunciate dal Segretario nazionale del Sap all’esito della pronuncia di assoluzione non restino consegnate anch’esse al fenomeno di cui sopra.
Il diritto di parola consentito al Segretario nazionale del Sap [Gianni Tonelli, SAP sta per Sindacato Autonomo di Polizia, ndr] gli ha permesso di esprimere ”la piena soddisfazione per l’assoluzione di tutti gli imputati” con una disinvoltura che abitualmente può trovare applicazione esclusivamente in uno stadio, ove l’unica forma di dolore può derivare abitualmente da un goal mancato e non già dalla morte violenta di un giovane celebrata in un’aula di Giustizia.
Bisogna finirla in questo Paese di scaricare sui servitori dello Stato la responsabilità dei singoli, di chi abusa di alcol e droghe, di chi vive al limite della legalità. Se uno ha disprezzo della condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze”.
Queste parole, in un contesto democratico che ne apprezzasse il loro peso, sortirebbero reazioni, conseguenze, interrogativi e dibattiti sul loro senso, sull’utilità e gli effetti di questa allegra scampagnata lessicale sul dolore di una famiglia - nonché una minima inchiesta semantica sul concetto di vita dissoluta e al limite della legalità.
Sarebbe da attendersi dal Segretario la spiegazione su quanto realmente produca paura in questo Paese e se l’abuso di alcol e droghe sia causa di morte per lesioni e se vi sia qualcosa di più dissoluto di un diritto calpestato.
Andrebbe preteso che ci chiarisse se quelle parole siano rappresentative di tutto l’universo della Polizia o - invece - siano la personale interpretazione di un dramma, o la recensione di un abominio. E ancora gli andrebbe richiesto se il silenzio seguito alle sue parole sia l’indicatore di un Paese dove domina sul diritto l’incertezza, sulla complessità della vita l’omologazione, sui drammi umani l’assenza di indignazione e l’ignavia.
Perciò chiedo scusa alla famiglia Cucchi per questo oltraggio infinito; per questa deriva che non può rappresentare la totalità degli appartenenti alle forze di polizia. Neppure quelli a cui per regolamento è precluso il diritto di indignarsi e di affrancarsi dalla convivenza col divieto di opinione.
Nel dubbio, semplicemente nel dubbio.
Francesco Nicito, agente della Questura di Bologna

All'agente Francesco Nicito vanno (anche) i nostri ringraziamenti; la riconoscenza di tante persone offese, ma anche, non dubitiamo, l'approvazione di molti colleghi che non possono apprezzare l'immagine nefasta che certi arroccamenti, su posizioni indifendibili, causano a tutto il corpo della Polizia di Stato.

domenica 2 novembre 2014

Le parole della violenza. I Centri antiviolenza emiliano romagnoli, a convegno il 7 novembre, si confrontano con i media

Una giornata per riflettere su media e violenza contro le donne perché le parole con il  loro significato chiamano all'esistenza tutto ciò che altrimenti sarebbe destinato a restare invisibile. 
Il Coordinamento dei Centri antiviolenza dell’Emilia Romagna ha organizzato il convegno Le parole della violenza. Centri antiviolenza e media si confrontano su come raccontare la violenza contro le donne che si svolgerà venerdì 7 novembre a Bologna, nella Cappella Farnese di  Palazzo d’Accursio.

Interverranno le giornaliste Marina Terragni e Luisa Betti, Antonio Farnè, presidente dell’ordine dei giornalisti dell’Emilia Romagna, Chiara Cretella, assegnista di ricerca all’Università Bologna e Anarkikka, autrice e vignettista. Giovanna Ferrari porterà la sua dolorosa testimonianza, già raccolta nel  libro denuncia Per non dargliela vintanel quale  ricostruisce passo passo i retroscena dell'assassinio della figlia.
Era l'11 febbraio del  2009 quando Giulia Galliotto venne brutalmente assassinata dal marito ma quel femminicidio subì una metamorfosi e nelle aule del tribunale come sulla carta stampata fu raccontato, a dispetto dell'evidenza dei fatti,  come un “delitto d’onore”.
Dopo gli interventi della mattina, si svolgerà una tavola rotonda e si inaugurerà la mostra fotografica Donne al Centro realizzata da Valeria Sacchetti, una giovane fotografa che dopo l’uccisione di un’amica, ha scoperto i luoghi che accolgono donne vittime di violenza. 
La mostra, nata dalla collaborazione dei centri antiviolenza NONDASOLA, Donne insieme contro la violenza e della Casa delle Donne contro la violenza, documenta i percorsi di quattro donne ospitate nelle Case Rifugio. 
Ogni foto è commentata dalle parole delle donne rivelando esperienze distanti dalla rappresentazione che i media fanno delle donne e della realtà della violenza. Nella distanza tra la rappresentazione e la realtà resiste tutta la volontà, conscia o inconscia, individuale o collettiva, di rimuovere le disparità tra uomini e donne che negli aspetti più involuti e distruttivi porta alla violenza di genere. Quella che le donne incontrano nelle relazioni di intimità, tra le pareti delle loro case, ma anche nelle strade o nei luoghi di lavoro.
@Nadiesdaa

domenica 26 ottobre 2014

Nastri Rosa S.p.A. Se il cancro al seno diventa un business

Il documentario Pink Ribbons, Inc. sarà proiettato a Bologna, sottotitolato in italiano, il 29 ottobre, h. 20,30 (Aula Magna di S. Cristina, Via del Piombo 7). 

"Pink Ribbons, Inc." è un film-documentario della National Film Board of Canada (NFB, regia di Léa Pool e prodotto da Ravida Din, Canada 2011)   riguardante le campagne del Nastro Rosa (Pink Ribbon). Il film è basato sul libro del 2006 "Pink Ribbons, Inc: il cancro al seno e la politica della filantropia" di Samantha King, professoressa associato di studi di kinesiologia e salute alla Queen University.

Un lavoro che getta nuova luce sul fenomeno del marketing rosa volto alla raccolta di fondi per la cura contro il tumore al seno - e del pinkwhashing che spesso vi si associa. In apparenza lodevole, infatti, la campagna del fiocco rosa nasconde molte ombre: come il fatto che solo una minima parte dei proventi vada realmente alla ricerca contro il cancro; mentre le compagnie farmaceutiche coinvolte commercializzano prodotti anche cancerogeni.

venerdì 24 ottobre 2014

EIGE- European Institute for Gender Equality incontra le organizzazioni della società civile

Venerdì 24 ottobre, alla Casa Internazionale delle Donne a Roma, Virginija Langbakk, direttora dell'Eige (European Institute for Gender Equality) e curatrice del rapporto sullo stato delle questioni di genere nell’Unione europea, incontrerà esperte, organizzazioni sindacali e non governative che, nel nostro Paese, si impegnano quotidianamente per la difesa dei diritti delle donne. 

 L'incontro sarà l’occasione per aprire un confronto sulle strategie politiche da adottare per migliorare la condizione delle donne in Italia e in Europa e per presentare il Rapporto Ombra sulla Piattaforma di Pechino 2009-2014. Alla fine del maggio scorso, il Dipartimento delle Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha inviato all’Onu il rapporto quinquennale sull’attuazione del programma di Pechino, senza consultare le organizzazioni non governative come chiede l'Onu. Due mesi dopo, il 24 luglio, quelle organizzazioni, tra le quali l'associazione nazionale D.i.Re - Donne in rete contro la violenza, presentavano il Rapporto Ombra dove denunciavano le carenze e le inadempienze italiane riguardo le direttive internazionali sui diritti delle donne. L’Italia è stata più volte richiamata a livello internazionale per la disattenzione in tema di politiche di genere e di tutela dei diritti delle donne vittime di violenza, solo se i governi saranno in grado di accogliere l’esperienza delle donne che si battono da anni per l’uguaglianza, la dignità e la libertà delle donne, ci potrà essere un cambiamento nel nostro Paese. @Nadiesdaa

venerdì 10 ottobre 2014

In principio era il buio? No! In principio erano le società matriarcali

Il 9 ottobre, Heide Goettner Abendroth ha presentato, nella sala Carla Lonzi della Casa Internazionale delle Donne, Le società matriarcali. Studi sulle culture indigene del mondo. Nata in Germania nel 1941, ha conseguito un dottorato di ricerca in filosofia nel 1973 presso l'Università di Monaco. Dopo aver lavorato per vari anni in ambito accademico ha deciso di staccarsene per dedicarsi completamente e in modo indipendente agli studi delle società matriarcali con l'obiettivo di indagarne gli aspetti sociali, politici, artistici e spirituali.
Nel 1986 ha fondato l’Accademia Hagia per gli Studi Matriarcali Moderni, punto di riferimento internazionale della spiritualità della Dea e per la costruzione di nuovo paradigma culturale fondato sulla cura su l rispetto della Madre Terra e la spiritualità femminile. Quelle matriarcali erano società pacifiche che conoscevano il senso del limite che non sfruttavano la natura o altri esseri viventi. Si fondavano sull’uguaglianza e non conoscevano rapporti di dominio o di potere dove la relazione tra donne e uomini era su una base egualitaria. Abendroth grazie al suo libro ci offre una lettura appassionante sulle origini e la struttura di quelle culture, alla ricerca dello spirituale femminile, rimosso dalle società fondate sul dominio e sul patriarcato, e mai perduto. Il matriarcato inteso come “all’inizio le madri” e non come dominio delle madri è esistito nel passato ed è sopravvissuto sotto forme politiche e religiose imposte dall’esterno. Così, spiega, rispondendo ad alcune domande, erano le società che i moderni studi matriarcali ci stanno rivelano, fondate sul lavoro di cura e sull’economia del dono.
Ma perché ci sono state resistenze nei confronti degli studi delle società matriarcali?
In passato gli studi matriarcali tradizionali, cominciati da Bachofen nel 1861 e da Morgan nel 1851, non sono stati approfonditi perché erano frammentati e distorti. Erano infarciti di ideologia occidentale patriarcale e di pregiudizi maschili e di una mancanza di definizione chiara e appropriata. Lo stesso discorso vale per gli archeologi e gli antropologi che hanno trattato questo argomento . Ecco perché il “matriarcato” è sempre stato erroneamente definito come il “potere delle donne” e ha fatto introdurre termini distorti ancora più deboli come “matristico, matrilocale, gilanico” ecct. Quando si è arrivati a una definizione chiara e scientifica, i Moderni Studi Matriarcali hanno iniziato a entrare in gioco. Qui il “matriarcato” definisce società centrate sul materno, in cui vige uguaglianza tra i genere. Non c’è dominio di un genere su un altro. Queste società sono orientate al bisogno e non al potere e tutte le decisioni vengono prese secondo il metodo del consenso da tutti i membri della comunità.
Quali sono le testimonianze “più forti” dell’esistenza nell’antichità di un lungo periodo in cui le società vennero governate da culture matrilineari?
Le società matriarcali esistenti sono nuovamente fonte di ricerca rinnovata e da esse gli studiosi possono imparare a reinterpretare le società pre -patriarcali che in passato sono state poco comprese a causa di una proiezione dell’ideologia patriarcale e di un pregiudizio maschile derivante dal passato. Alcuni archeologi come M. Gimbutas e archeo linguistici come Haarmann, iniziarono già questo percorso analizzando i reperti nei loro rispettivi campi di studio.
E’ possibile che la consapevolezza dell’esistenza di società matriarcali e la maggiore conoscenza della loro organizzazione possa diventare un modello di riferimento per cambiare il nostro modo di ripensare la società e la relazione tra donne e uomini e anche della relazione con la natura e l’ambiente?
Certamente! Non solo è possibile, ma sta già avvenendo. Negli ultimi decenni, i Moderni Studi Matriarcali hanno avviato un ampio campo di conoscenza che include un nuovo paradigma sociale sia per le relazioni tra uomini e donne che tra umani e natura.
La riscoperta delle società matriarcali potranno contribuire al recupero e valorizzazione del femminile simbolico?
Una nuova e appropriata comprensione delle società matriarcali non solo valorizza il femminile simbolico, ma aiuta a riconsiderare il ruolo delle donne e degli uomini nella società, l’economia, la politica, e la cultura in generale. La gerarchia patriarcale in queste società non esiste così come non c’è violenza sulle donne o sui bambini. La gente si organizza in modo collaborativo e nell’uguaglianza. Uomini e donne hanno le loro sfere di azione, di economia e di ritualità, entrambe le sfere sono collegate in modo complementare, così come esiste sia la sfera di un simbolismo femminile che di un simbolismo maschile. Il simbolo del materno è il prototipo, perché il matriarcato si basa sui valori materni come la cura, il nutrimento, la negoziazione, la costruzione della pace: valori che riguardano sia gli uomini che le donne.
Come possiamo recuperare il valore del dono in un mondo dove il denaro e la finanza stanno contaminando ogni aspetto della vita di ogni essere umano mettendo in discussione diritti, cambiando il senso delle relazioni umane e persino il rapporto con il nostro corpo proposto sempre più come un prodotto. E’ possibile vincere contro sistemi così forti?
L'economia del dono, secondo il pensiero di Geneviève Vaughan, è la base dell'economia nelle società matriarcali. I beni circolano come dei doni, l'ideale non è l'accumulazione ma la loro distribuzione che rende migliore la vita di ciascuno/a . Questo, anche, è un principio materno. Gli occidentali consapevoli non sono interessati a vincere contro i sistemi forti, piuttosto si organizzano in movimenti e cerchi alternativi, che se crescessero di numero provocherebbero un impoverimento dal basso dell'economia monetaria e di altri sistemi di sfruttamento. Si tratta di rifiutare di far parte di questi sistemi di dominio, della mercificazione della nostra vita e di vivere in un altro modo. Tutte e tutti possiamo far parte di questo rifiuto, se lo desideriamo!

venerdì 3 ottobre 2014

Per una finanza etica: incontriamoci a Ferrara

La Finanza Etica a Ferrara, in occasione del Festival di Internazionale.


• Venerdì 3 ottobre, al Chiostro di San Paolo, h. 19
Il valore dei soldi Ugo Biggeri (autore del libro e Presidente di Banca Etica ed Etica SGR) e Debora Rosciani - Radio24) presentano il libro "Il valore dei soldi"

• Sabato 4 ottobre, al Cinema Apollo, h. 14
La lobby più potente del mondo: ne parlano Kenneth Haar (della Corporate Europe Observatory,  autore della ricerca “The fire power of the financial lobby”); Aline Fares (Finance-Watch); Ugo Biggeri (pres. di Banca Etica); Modera Nunzia Penelope, (autrice di “Caccia al tesoro”, “Soldi Rubati”, “Ricchi e Poveri”).
Conoscere l'esercito di lobbisti della finanza che affollano le istituzioni europee (definiti dall'ex Commissario Europeo Algirdas Semeta "la lobby più potente del mondo") e le loro attività è necessario per riuscire ad agire nella direzione di limitare l'influenza nefasta dei poteri finanziari e tentare di definizione nuove regole per una finanza trasparente e al servizio dell'economia reale.

giovedì 25 settembre 2014

Siglato il protocollo di intesa tra ANCI Emilia-Romagna e i Centri Antiviolenza dell'Emilia Romagna

Il Coordinamento regionale dei Centri antiviolenza e l'Anci Emilia Romagna, il 22 settembre scorso, hanno sigliato un protocollo di intesa per realizzare iniziative e progetti a sostegno di donne vittime di violenza.
Sono 13 i Centri Antiviolenza che aderiscono al Coordinamento e alcuni di questi fanno parte anche dell'associazione nazionale D.i.Re. Da anni i Centri del Coordinamento collaborano a progetti per donne vittime di violenza e raccolgono dati statistici sulle donne accolte che ogni anno, sono in media più di tremila. Il documento firmato da Angela Romanin, vicepresidente del Coordinamento dei Centri antiviolenza e da Daniele Manca, presidente ANCI regionale, rispecchia il protocollo di intesa firmato il 16 maggio 2013 da D.i.Re e dall'Anci nazionale e prevede una forte collaborazione tra istituzioni e centri antiviolenza per migliorare la qualità degli interventi di contrasto alla violenza maschile contro le donne. Tra gli obiettivi quello di colmare la lacuna della carenza di posti letto per donne vittime di violenza inserendo nei Piani Distrettuali per la Salute e il benessere sociale di ogni ambito territoriale un Centro antiviolenza ed una Casa Rifugio con finanziamenti adeguati che diano stabilità al progetto e di favorire il lavoro di rete tra istituzioni e centri antiviolenza. Un altro aspetto importante del protocollo riguarda la formazione che sarà rivolta agli operatori socio sanitari e di giustizia che accolgono le richieste di aiuto delle donne e tutte le attività di sensibilizzazione al problema della violenza con il coinvolgimento degli istituti scolastici.
I contenuti del Protocollo e delle Linee Guida per il contrasto alla violenza maschile, rivolte agli operatori e alle operatrici dei Servizi Sociali approvate da ANCI regionale e D.i.re saranno presentati agli amministratori locali e ai dirigenti dei Comuni, delle Unioni e delle ASP, e con loro discussi, in un Seminario che si svolgerà il 7 ottobre a Bologna. Sarà il primo momento di attuazione del Protocollo in vista, peraltro, del 25 novembre Giornata Internazionale Contro la Violenza alle donne.

domenica 14 settembre 2014

Bologna 17-21 settembre: il festival del cinema lesbico

Bologna, dal 17 al 21 settembre Some prefer cake, ottava edizione del festival del cinema lesbico, con un ricco programma, quest'anno dedicato ad Audre Lorde. Scrivono Luky Massa e Marta Bencich:
Scrivono Luky Massa e Marta BencichAudre Lorde ci ha accompagnate e ispirate negli anni con la forza della sua opera e della sua etica, dal convegno Il valore della differenza, che abbiamo organizzato a Bologna nel 2006, fino a quest’anno, in cui finalmente vediamo pubblicate due delle sue opere in italiano:
Zami - che in italiano ha per titolo Zami. Così riscrivo il mio nome: una biomitografia, a cura di Liana Borghi per la traduzione di Grazia Dicanio (Edizioni Ets), e Sorella Outsider
e Gli scritti politici di Audre Lorde, per la traduzione di Margherita Giacobino e Marta Gianello Guida (Edizioni Il Dito e la Luna).
Entrambe le pubblicazioni verranno presentate all’interno del festival.
A dare il suo volto all’ottava edizione di Some Prefer Cake è Ruby Rose, vj per MTV Australia, dj, modella, conduttrice tv, attrice e ora anche regista, dichiaratasi lesbica fin dall’età di 12 anni: un inno alla visibilità, che da sempre è lo strumento più efficace per decostruire modelli e stereotipi e per creare la nostra comunità.
46 film, di cui 23 prime italiane, 10 lungometraggi narrativi e tante biopic, quest’anno davvero numerose e significative, creano un mosaico di ritratti di lesbiche e donne straordinarie che hanno segnato il pensiero e la cultura degli ultimi decenni. La scrittrice francese Violette Leduc, la pittrice cino-americana Bernice Bing, la teorica chicana Gloria Anzaldúa, la coreografa statunitense Elizabeth Streb, la scrittrice afroamericana Alice Walker, l’attivista femminista parigina Thérèse Clerc e la scrittrice finlandese di libri per l’infanzia Tove Jansson. E non dimentichiamoci la poeta americana Elizabeth Bishop e l’architetta brasiliana Lota de Macedo Soares, raccontate superbamente dalla fiction Reaching for the Moon, a SPC 2014 in prima italiana.
In ogni edizione esploriamo un nuovo paese e, dopo l’India e la Cin,a quest’anno volgiamo il nostro sguardo all’Argentina, che con due film della regista Liliana Paolinelli e un documentario sul gruppo punk femminista Kumbia Queers ci travolge col suo spirito estroso, surreale ed eccessivo, ma anche molto franco e concreto. Come ogni anno, oltre ai film, Some Prefer Cake propone ospiti internazionali, incontri con le registe, presentazioni di libri, mostre, performance, aperitivi con dj-set, l’official party.
Fra lesbiche punk che suonano la cumbia, nonne kung fu, acrobate in volo, pinguine testarde, lesbiche zombie e regine follemente innamorate continuiamo a celebrare la ricchezza del cinema lesbico!

lunedì 18 agosto 2014

Blog Donne della Realtà: sulla donna scappata dal marito che la massacra di botte

Il 14 agosto sul blog Donne delle realtà è stato pubblicato Sull’ autobus, con la donna scappata dal marito cocainomane che la massacra di botte, di Paola Ciccioli. E’ il racconto di una donna vittima di violenza. L’ho letto con molto interesse fino al punto in cui la giornalista spiega che cosa è accaduto dopo che la donna si è rivolta ad un Centro antiviolenza. Riporto il brano del post: “Sono appena stata al Centro Antiviolenza e mi hanno detto che presenteranno la denuncia alla Procura della Repubblica. Accidenti, la denuncia non ci voleva. Adesso, come faccio?…Sono arrivata questa mattina presto in treno. Poco dopo la stazione ho visto una chiesa, sono entrata, c’era la messa. Ho aspettato che finisse e poi sono andata a parlare con una suora. Le ho spiegato di mio marito, delle botte, che sono scappata. Le ho chiesto se poteva aiutarmi anche a trovare un posto per andare a dormire. E la suora mi ha detto: Certo. Poi mi ha dato l'indirizzo del Centro antiviolenza e ci sono andata subito. Ma adesso parte la denuncia, manderanno i servizi sociali per i miei figli. Lui se la prenderà con me, dirà che ho sfasciato la famiglia. Come faccio? Cosa succederà? Ho paura".
Qualcosa non torna. E’ un peccato che la giornalista non abbia saputo a quale Centro Antiviolenza si fosse rivolta la donna anche se è comprensibile che fosse tesa ad ascoltare piuttosto che a prendere informazioni. Credo che questa storia sia emblematica per comprendere la differenza metodologica dei Centri antiviolenza aderenti a D.i.Re, che in Italia hanno fatto emergere il problema della violenza e che operano mettendo la donna al centro dei percorsi. La vicenda è accaduta a Milano e dubito fortemente che il Centro Antiviolenza in questione possa essere la Casa delle Donne Maltrattate di Milano. Un Centro antiviolenza non presenta denunce di propria iniziativa per molti motivi. L’autorità giudiziaria persegue i reati quando viene fatta una querela di parte (in questo caso è solo la persona interessata che la può fare) oppure procede d’ufficio: dipende dalla gravità del reato. Il reato di maltrattamento, ad esempio, è perseguibile d’ufficio. In un Centro antiviolenza la denuncia penale è una scelta della donna che non deve essere coartata o condizionata. Il consenso della donna e la sua intima adesione ad un percorso di uscita da una relazione violenta sono condizioni necessarie per insaturare una relazione di aiuto. Le donne devono poter esprimere la loro autodeterminazione. Nel racconto la donna sembra aver subìto l’azione penale e commenta la sua storia come se fosse stata abbandonata a se stessa. In un Centro la prima preoccupazione è trovare l’ospitalità per la donna insieme ai figli, lasciarle il tempo di decidere se denunciare e cosa fare, spiegando passo passo cosa può fare un Centro e cosa le accadrà. E ancora: è del tutto inusuale che fin dal primo incontro di accoglienza una donna sporga denuncia penale. Nel primo incontro la donna è accolta ed ascoltata, prima di agire (a patto che non ci siano situazioni di imminente pericolo)si deve capire. In secondo luogo, le operatrici dei centri antiviolenza non sono pubblici ufficiali e non possono fare segnalazione di reati presso la Procura. Sono tenute all’anonimato e alla segretezza circa quello che viene loro rivelato. La modalità di intervento di questo ‘Centro antiviolenza’, pare essere quello di un luogo istituzionale dove operano psicologhe che in qualità di pubblico ufficiale possono segnalare alla Procura della Repubblica eventuali reati e procedere con l’immediato coinvolgimento del servizio sociale per avviare procedure che riguardano i figli o le figlie. I luoghi istituzionali o semi-istituzionali fondano i loro interventi sull’applicazione di procedure rigide e non sul riconoscimento dell’autodeterminazione e della soggettività della donna. In un luogo istituzionale il progetto è proposto (o talvolta imposto) alla donna, in un Centro Antiviolenza la donna è la protagonista del proprio progetto di allontanamento da una relazione violenta. Purtroppo in Italia non esiste ancora una chiara definizione di Centro Antiviolenza. Un problema che ha reso possibile quella distribuzione di fondi a pioggia, recentemente decisa in conferenza Stato Regioni, che ha sollevato le proteste di D.i.Re e che ha incluso luoghi differenti e distanti dalla metodologia dei Centri antiviolenza storici, come molte associazioni che non si occupano specificatamente di violenza contro le donne (ad esempio il Movimento per la Vita e altre).
Il 24 luglio D.i.Re e altre organizzazioni non governative hanno presentato il Rapporto sull’attuazione della Piattaforma di Pechino per il quinquennio 2009-2014 per spiegare che cosa veramente è stato fatto dal Governo italiano in tema di diritti delle donne. Uno dei punti critici è la mancanza di chiarezza e di omogeneità, a livello nazionale, della definizione di Centro Antiviolenza e dei criteri atti a definire le caratteristiche dei servizi e delle strutture finalizzate ad accogliere ed ospitare le donne ed i loro figli. Inoltre manca la definizione e il riconoscimento della figura dell’operatrice di accoglienza. Oggi qualunque luogo può fregiarsi della qualifica di ‘Centro antiviolenza’ e può operare senza alcuna verifica delle competenze e della metodologia che attua ma soprattutto non è tenuto ad informare la donna sulla differenza tra luogo istituzionale e luogo privato. Le donne che chiedono aiuto devono sapere come lavorano i Centri Antiviolenza a cui si rivolgono, che siano pubblici o privati, e devono poter scegliere se affidarsi, dopo aver ricevuto tutte le informazioni necessarie.

sabato 16 agosto 2014

D.i.Re Donne in Rete ha ottenuto lo Status Consultivo al Consiglio Economico Sociale dell’Onu

L’associazione nazionale D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza, ha ottenuto lo status consultivo nel Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) e sarà iscritta all’anagrafe delle organizzazioni non governative dell’Onu. Un nuovo impegno per le donne dei centri antiviolenza, che hanno accolto con gioia la notizia dell’ammissione della domanda fatta circa un anno fa. Il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite ha tra i suoi vari scopi quello di aiutare gli Stati a raggiungere accordi per promuove il rispetto e l’osservanza dei diritti umani universali e la difesa dei diritti delle donne.
I 67 centri antiviolenza che aderiscono a Donne in Rete sono un osservatorio privilegiato sul fenomeno della violenza maschile contro le donne. I Centri lavorano per sostenere le donne che subiscono violenza e verificano sul campo le difficoltà e gli ostacoli che le donne incontrano per conquistare autonomia, dignità e libertà. Il prestigioso riconoscimento ottenuto rafforzerà l’impegno dell’associazione nazionale D.i.Re per affermare i diritti delle donne e superare gli ostacoli che rallentano il processo di libertà delle donne nel nostro Paese. Intanto, in Italia le cose non vanno affatto come dovrebbero per i diritti delle donne e la parità tra i generi. Nello scorso mese di luglio D.i.Re insieme ad altre associazioni  impegnate sul campo dei diritti delle donne, ha stilato una rilevazione quinquennale sul Rapporto sull’attuazione della Piattaforma d’Azione di Pechino,  che denuncia lacune e arretratezze non rilevate nella relazione 'ufficiale' fatta dal Governo. Nell’ultimo quinquennio, l’Italia è stata richiamata più volte per la latitanza della politica in tema di uguaglianza e libertà delle donne. Le principali criticità sono: la carenza di un sistema di raccolta, analisi e diffusione di statistiche di genere, che potrebbe consentire il monitoraggio e la valutazione di politiche da attuare; l’elevato livello di povertà femminile soprattutto nelle famiglia monoparentali e il continuo impoverimento del welfare; l’insufficiente difesa della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi; il basso tasso di occupazione delle donne e la precarietà: condizione condivisa dalle giovani e delle over 40. Tra questi problemi non manca la questione della violenza maschile sulle donne in attesa di un complesso ed efficace sistema di contrasto e l’entrata in vigore della Convenzione di Istanbul.
Nel 1995 il Piano di Azione di Pechino indicava precisi obiettivi da realizzare; ma ancora oggi l’impegno dei governi italiani che si sono succeduti è stato solo formale e le risposte sono state di carattere demagogico ed emergenziale. Venti Regioni italiane hanno approvato leggi sulla violenza contro le donne spesso senza finanziamenti adeguati e, soprattutto, non è mai stata fatta chiarezza sulla definizione di Centro Antiviolenza, né sono mai stati definiti criteri per le caratteristiche dei servizi e degli interventi delle strutture che devono accogliere donne vittime di violenza e i loro figli. E ancora: le politiche di sistema sono un miraggio. E’ vero che è stata approvata la Convenzione di Istanbul ma senza un quadro articolato di misure in adempimento degli obblighi che sono derivati dalla ratifica, il trattato europeo rischia di restare lettera morta. A questo punto la differenza la potranno fare solo le donne dei movimenti e la politica che saranno in grado di fare.
di Nadia Somma

martedì 12 agosto 2014

Quanto vale il lavoro delle donne nei Centri Antiviolenza?

Il 30 settembre la prima convenzione del centro antiviolenza Demetra donne in aiuto si concluderà. Le donne del centro stanno interloquendo con le istituzioni locali per chiedere un' implementazione dei progetti del centro antiviolenza, aumentando il finanziamento all'associazione anche in previsione dell'apertura della Casa Rifugio. 
Una struttura arredata e sistemata con le sole forze delle volontarie, che non avrà costi di locazione perche' di proprietà di una concittadina che ha stipulato un contratto di comodato con l'associazione. La Convenzione di Istanbul,in vigore dal 1° di agosto, indica ai Paesi che l'hanno sottoscritta, di sostenere le organizzazioni non governative, la legge quadro per la parità contro le discriminazioni di genere, varata dalla Regione Emilia Romagna lo scorso mese di giugno, riconosce il valore dei centri antiviolenza, il protocollo Anci - D.i.Re sottoscritto nel maggio 2013 anche; ma saranno sufficienti studi, linee guida, trattati internazionali, firme su firme e dichiarazioni di intenti in assenza di una volontà politica di intervenire strutturalmente sul fenomeno? L'indagine Quanto costa il silenzio? realizzata da Intervita Onlus ha fatto un calcolo dei costi della violenza contro le donne: il silenzio sul femminicidio costa 16,7 miliardi di euro, piu' di una legge di stabilità. Gli investimenti invece sono solo di 6,3 milioni di euro. La conclusione è che nel 2012 una donna ogni 3 giorni è stata uccisa dal proprio partner, e che più di un milione di donne hanno subito almeno una molestia. Volendo stimare anche gli atti di violenza si arriva alla cifra stratosferica di 14 milioni: ovvero 26mila euro al minuto. Nella nostra realtà locale dopo nove anni di attività politica e di servizi svolti a titolo di volontariato che hanno fatto emergere il problema dove non era mai stato misurato, l'associazione Demetra Donne in Aiuto, nel settembre 2013, ha ottenuto la prima Convenzione con l'Unione dei Comuni della Bassa Romagna che ha finanziato il progetto P.Eg.A.S.O. (Progetto Emergenza Accoglienza Sostegno ed Ospitalità. Questo ha permesso l'apertura del Centro Antiviolenza per tredici ore settimanali (invece delle quattro ore precedenti) e un servizio di osiptalità in emergenza dal lunedì alla domenica dalle 10 alle 23, senza soluzione di continuità. Il finanziamento previsto per il progetto era di 18 mila euro che è stato suddiviso in 13mila 200 euro per le due operatrici che si alternavano settimanalmente per l'emergenza e 3mila 800 per l'operatrice che lavorava all'accoglienza. E' sufficiente fare un calcolo aritmetico per capire che la retribuzione netta delle operatrici del'emergenza è stata di 450 euro al mese per 308 ore di reperibilità (retribuzione che ha eslcuso gli interventi ed i rimborsi spese).

L'operatrice dell'accoglienza è stata invece retribuita con 230 euro nette per 36 ore mensili. Una scommessa che le operatrici hanno accettato per un anno, consapevoli di fare un notevole monte ore di lavoro non retribuito adeguatamente con l'obiettivo di dare maggiori risposte al problema della violenza, in attesa di un più forte sostegno delle istituzioni. L'associazione ha provveduto a reperire fondi con privati per aumentare di 100 euro mensili il compenso delle due operatrici dell'emergenza e di 70 euro quello dell'operatrice di accoglienza e per pagare altre spese. I mille euro avanzati dal finanziamento sono stati spesi per bollette telefoniche, cancelleria ecc. Se facciamo un bilancio dal 1 ottobre 2013 al 31 luglio 2014, sono state svolte 86 ore settimanali retribuite dal progetto P.Eg.A.S.O. Progetto Emergenza Accoglienza Ospitalità per 34 settimane per un totale di 2mila 924 ore. Le ore di volontariato (2948 h 50’) hanno superato quelle retribuite (2924). Nel 2012 le ore di volontariato erano state 1139, ed erano calate rispetto al periodo comnpreso tra il 2007 ed il 2010 quando il progetto ospitalità in emergenza venne sospeso in quanto era finanziato con 3mila 500 euro annui, di fatto era realizzato con il solo volontariato e con spese tutte a carico dell'associazione. Con la convenzione le ore di volontariato sono aumentate: questo significa che quanto più le istituzioni sostengono con finanziamenti i centri antiviolenza tanto più si implementa l’attività di volontariato. I motivi sono da riscontrare nella maggiore razionalizzazione e organizzazione del lavoro che grazie al supporto di operatrici retribuite ha prodotto un maggior tempo investito nella formazione e nel coinvolgimento di nuove volontarie per realizzare nuovi progetti. Le ore retribuite sono da suddividere tra 2618 h dedicate all’emergenza e 306 dedicate all’accoglienza delle donne. Se si sommano le ore di accoglienza retribuite dalla convenzione (306) a quelle svolte a titolo di volontariato (647) si giunge a complessive 953 ore di accoglienza dedicate alle donne nel periodo dal 1 ottobre al 31 luglio da cui si evince che l’associazione Demetra è impegnata nelle sole ore di attività dell’accoglienza, dal lunedì al venerdì per 5 ore e mezza giornaliere. Le ore realizzate grazie al progetto P.EG.A.S.O sono da suddividere tra 2618 h dedicate all’ospitalità in emergenza e 306 dedicate all’accoglienza delle donne. L’ospitalità in emergenza è quella che ha necessitato della metà delle ore di attività svolte dall’associazione (53%) al secondo posto l’accoglienza (16%), al terzo la formazione e la supervisione (6%) e poi le consulenze legali (5,1%). Il lavoro d’equipe che consiste in riunioni e organizzazione del lavoro è al quinto posto (4,5%), seguono redazione di materiale informativo e progetti (3,5%), allestimento Casa Rifugio (3,4%), accompagnamenti (2,9%), contabilità (1,7%), eventi (1,5%), sportello lavoro (0,8%), Coordinamento Regionale dei centri antiviolenza (0,8%), Osservatorio Regionale sulla violenza (0,5%), D.i.Re Donne in Rete (0,3%). Si tratta di una notevole somma di ore che impegnano un numero di 15 socie e sei consulenti (sei donne ed un uomo, un avvocato) e che mantengono in vita un progetto che altrimenti non sarebbe possibile realizzare. Se si calcola invece economicamente il volontariato tenendo conto di una retribuzione di 15 euro all'ora, si verifica che tradotto in termini economici, il centro antiviolenza Demetra ha prodotto un lavoro pari a 44mila 220 euro. La cifra è calcolata per difetto. Ho descritto la realtà del centro antiviolenza Demetra ma tutti questi sono progetti che se non fossero realizzati dai centri antiviolenza non troverebbero alcuna prosecuzione, in quanto le istituzioni non li realizzano. Sarebbe sufficiente razionalizzare le spese per dare sostegno adeguato ai centri antiviolenza e senza cifre esorbitanti rispetto ai costi della violenza. La Regione Emilia Romagna sta provvedendo a verificare il censimento di case rifugio e centri antiviolenza rispetto a quanto era emerso dalla Conferenza Stato Regioni quella che ha stabilito criteri per i quali ad ogni centro antiviolenza spetterebbero 3500 euro l'anno. In attesa di risposte istituzionali il lavoro delle donne dei centri antiviolenza mantiene in essere, nonostante tutto, progetti per la salute e la vita delle donne. Ma fino a quando? 
di Nadia Somma

mercoledì 16 luglio 2014

Le donne dei centri antiviolenza maltrattate dalla politica istituzionale

 
Le donne dei centri antiviolenza maltrattate dalla politica istituzionale è stato lo slogan della nostra protesta, quando il 10 luglio scorso siamo andate a Roma per i centri antiviolenza. Dopo la conferenza stampa alla Camera, organizzata da Celeste Costantino, siamo andate  in via della Stamperia davanti  alla sede della Conferenza Stato-Regioni che votava il  riparto dei fondi per le donne vittime di violenza. Quello che assegna tremila euro l’anno ai centri per “salvarli” dalla chiusura, quello che equipara i centri antiviolenza istituzionali a quelli delle organizzazioni non governative. I fondi saranno distribuiti (quei pochi che ci sono) al movimento per la vita, alle comunità madre bambino, agli sportelli per inserimento lavorativo di donne, ai  luoghi di conciliazione familiare e in alcune regioni, come il Piemonte, saranno esclusi alcuni dei centri antiviolenza aderenti  a D.i.Re.

L’indiscriminata distribuzione 
 di fondi è stata dettata anche da logiche burocratiche e  clientelari e dalla mancanza di conoscenza del problema ma  il pot-pourri di enti, consorzi, associazioni censito dalle Regioni è anche il prodotto della legge 119, cosiddetta sul femminicidio, che non individua quali sono i  criteri qualitativi per definire un centro antiviolenza. Una legge mata male, con logiche securitarie e che dovrebbe essere modificata.
 A Roma eravamo una sessantina: una per ogni centro. Abbiamo alzato lo striscione rosso diD.i.Re e altri cartelli e abbiamo gridato slogan contro il governo e la sua indifferenza nei confronti dei luoghi di competenza ed esperienza delle donne. Siamo maltrattate dal governo. Non avremmo potuto più sederci davanti ad una donna che rivela di subire violenze se non avessimo fatto sentire chiaro e forte il nostro dissenso perché la violenza contro le donne è anche un problema culturale e politico.
 
 
 
 
 
Mentre gridavamo la nostra protesta  sotto le finestre della conferenza Stato-Regioni, è arrivata la Digos: la nostra manifestazione non era autorizzata. ‘Le donne danno il meglio di sé quando trasgrediscono le regole’ diceva una compagna di Roma. Ci hanno chiesto di mettere via i cartelli, li abbiamo girati e  tenuti al collo e abbiano continuato a gridare slogan e allora la ministra Lanzetta ha incontrato una delegazione D.i.Re.
Le nostre richieste? I criteri siano selettivi.
Celeste Costantino, quando giovedì ha concluso la conferenza stampa, ha detto che in un Paese con la maggiore presenza di deputate della storia della Repubblica, con un Consiglio dei Ministri composto per metà di donne e con  la terza carica dello Stato  rappresentata da una donna non si può permettere lo svilimento dei centri antiviolenza.  Eppure questo è accaduto, lo svilimento c’è stato.
Dopo la nostra protesta qualche risposta sta arrivando ma è ancora presto per dire quanto e se le richieste D.i.Re saranno accolte. Noi terremo il punto.
 

lunedì 12 maggio 2014

I centri antiviolenza oggi: condivisione, prospettive, politiche

I centri antiviolenza aderenti a D.i.Re - Donne in Rete contro la violenza si sono riuniti a Reggio Emilia il 10 e l’11 maggio nell’Ostello della Ghiara, luogo suggestivo e accogliente per le oltre centotrenta donne provenienti da tutta l’Italia, riunitesi per confrontarsi sul tema del rapporto tra donne, violenza e istituzioni.

L’esigenza emersa con più forza nell’incontro è indirizzata a valorizzare l’identità dei centri antiviolenza in un momento in cui sia le istituzioni che altre organizzazioni, private e pubbliche, stanno cercando di dare risposte al problema, con obiettivi, prassi e metodi, distanti da quelli dei centri e soprattutto lontani dalla autentica lettura del problema. L’identità dei centri antiviolenza ha ricchezza che nasce dall’analisi e dall’esperienza del fenomeno della violenza maschile e dal riconoscimento della sua natura culturale e strutturale: le radici della violenza maschile sono da ricercare nella disparità di potere tra donne e uomini, lettura accolta dalla Convenzione di Istanbul, che entrerà in vigore dal primo agosto. Per i centri antiviolenza il lavoro di sostegno alle donne che subiscono violenza, che comprende accoglienza e ospitalità, azioni legali a salvaguardia dei diritti delle donne e altri progetti di supporto non è disgiunto dalla lettura politica del fenomeno della violenza e dalla rigorosa analisi critica delle logiche, degli interventi e delle azioni che le istituzioni mettono in campo. La metodologia dei centri è quella che mette al centro dei percorsi e dei progetti la donna valorizzando la sua scelta e la sua decisione, riconfermando la autodeterminazione come principio imprescindibile per la libertà sia dalla violenza nelle relazioni affettive che dalle violenze e le discriminazioni culturali e simboliche. Troppo spesso gli interventi istituzionali sono volti a salvaguardare e a tutelare le donne in quanto soggetti fragili, aumentando la non comprensione del fenomeno nella sua natura. Al centro di questi interventi viene posta frequentemente la famiglia per intero con o senza i figli minori, rendendo, pertanto, più complessa l’azione dei centri nonché il percorso di riconoscimento della violenza e di consapevolezza dei propri diritti per la donna accolta. I centri non sono semplici erogatori di servizi: questo è emerso nel corso della discussione che ha affrontato gli aspetti e le criticità derivanti dalle convenzioni e protocolli con le istituzioni a vari livelli. La complessità e la ricchezza del lavoro dei centri viene sminuita, frammentata e rischia di perdersi nell’ambito dei rapporti formalizzati con enti che appiattiscono ruoli e funzioni dei centri antiviolenza, annullando o indebolendo il progetto politico. Porre un limite alla richieste delle istituzioni che a volte non riconoscono l’originalità dei centri antiviolenza è diventato un’esigenza e una necessità per evitare di disperdere il valore della progettualità politica. Restano ancora in attesa di risposta alcune questioni che D.i.Re ha posto anche di recente al governo Renzi con l’appello dell’8 aprile scorso: - l’interruzione del lavoro dei tavoli della task force interministeriale portato avanti con molto impegno da D.i.Re; - l’elaborazione del nuovo Piano Nazionale contro la violenza; - i finanziamenti di 17 milioni di euro ai centri antiviolenza già stanziati ma bloccati dal nuovo governo Renzi; - i criteri che adotterà il Governo per la definizione di centro antiviolenza e la conseguente destinazione dei finanziamenti. Nei prossimi mesi le istituzioni italiane saranno chiamate ad una piena assunzione di responsabilità politica nei confronti della violenza contro le donne, la Convenzione di Istanbul richiede politiche organiche e strutturali nei confronti del fenomeno e le risposte del Governo non potranno prescindere dalle importanti indicazioni del trattato europeo. A conclusione dell’incontro è stato deciso di creare una scuola o laboratorio di politica dei diritti delle donne itinerante che sia fonte di riflessione continua e rafforzi l’identità dei centri chiamati a fronteggiare i cambiamenti sociali e culturali, senza perdere il legame con la politica di genere e il pensiero femminista.

sabato 10 maggio 2014

La mente dei bambini, il rapporto con la realtà

Si: è un problema di rapporto con la realtà. 

Cari genitori, in questi giorni mi è capitato di girare fra le pagine di facebook di alcune ragazzi e ragazze della nostra scuola. Molte delle foto che ho visto ritraggono soprattutto ragazze (ma non solo) con una forte quanto inconsapevole carica di provocazione sessuale. So bene che le autrici e gli autori di questi autoritratti non comprendono i significati che quelle pose possono assumere, soprattutto se viste da un adulto estraneo - per loro è tutto un gioco virtuale e innocuo. 
Non ho bisogno di ricordarvi che ci sono, là fuori, persone malate e malintenzionate che osservano le foto di vostro figlia con tutt'altro sguardo del vostro. Ma non si tratta solo di questo: si tratta di recuperare un corretto rapporto con la realtà. Noi siamo a disposizione per aiutarvi.
Pier Paolo Eramo (dirigente Scuola Media di ''Fra Salimbene'', Parma)
Un problema di rapporto con la realtà: che oggi è catastrofico. Dal quale scaturiscono un grave malessere collettivo e cattive promesse per il futuro. Un rapporto con la realtà diffuso in modo sempre più endemico e che però - attenzione - non nasce dal caso. Facciamocene una ragione: è un modo di vedere e di pensare voluto, coltivato, perseguito e realizzato con cognizione di causa: 
1. i nostri figli sono nutriti di violenza e di principi autolesionisti dalla tv, dunque in modo "passivo", fin da piccolissimi; 
2. poi, appena in grado di connettersi a un computer, anche in modo interattivo.
Inutile ricordare cose che tutti sappiamo - che sette bambini su dieci navigano ormai sul web e in genere lo fanno autonomamente, ad esempio. Che la confidenza data dai bambini a ciò che non conoscono abbastanza è troppa per definizione - e che dalla rete possono giungere pericoli. 
Ma ha ragione questo preside: il pericolo più grande sta sempre nell'atteggiamento mentale, nelle risorse sui cui, per affrontare i pericoli, ciascuno può contare. La mente è un labirinto, la realtà anche: come non capire che la prima difesa è creare mappe, insegnare a orientarsi? 
Non serve evocare censure ma fare educazione. Di questo parliamo. Battiamo il chiodo. Cosa avrà prodotto nei genitori questo avviso del loro preside? Ci auguriamo non solo uno sguardo veloce sul loro bambino, una ricerca di rassicurazioni individuali. Svegliamoci, c'è tanto da fare! Scuola e genitori si attivino, il più possibile, il più decisamente e  sinergicamente che mai.
C'è tanto materiale in giro.. ma in genere ci si limita a un'occhiata distratta.. qualcuno che si chiede: ma i genitori dove sono? la scuola dov'è? il punto sul "rapporto con la realtà" - per esempio in relazione al bullismo - qualcuno lo fa.. si incontrano riflessioni su ciò che si vuole... suggerimenti su esperienze reali… Andiamo a fondo, di più e meglio, consapevolmente; si può e si deve fare molto, molto di più.

giovedì 17 aprile 2014

Da un gruppo di esperte di informatica un'idea per sostenere i centri antiviolenza

Da qualche giorno è online sul sito stopfemminicidio.it la campagna per la raccolta fondi a favore dei centri antiviolenza aderenti a D.i.Re - Donne in Rete. 
Un gruppo di donne esperte di informatica ha creato una piattaforma che mette a disposizione  l’elenco delle città in cui i centri svolgno la propria attività contro la violenza alle donne, completo di indirizzi dei centri, siti web e di codici fiscali, per coloro che vorranno fare una donazione. Un link permette di informarsi sulle attività svolte dal centro antiviolenza. L’idea, venuta a Sara Porco, web designer e grafica curatrice del sito stopfemminicidio.itè stata realizzata insieme a un gruppo di donne informatiche delle Girl Geek Dinners, che si sono offerte di dare il loro contributo gratuitamente, a sostegno dei centri antiviolenza. Un aiuto concreto ed un gesto di solidarietà tra donne, in un momento in cui le difficoltà economiche e la carenza di finanziamenti dei centri non sono affatto superate.

mercoledì 16 aprile 2014

Stereotipi di genere? Basta poco per abbatterli

Abbattere gli stereotipi di genere con leggerezza, come se fosse un gioco è possibile. Gli allievi e le allieve della II A dell’Istituto Battaglia di Fusignano (scuola media), nei giorni scorso sono andati in scena con lo spettacolo teatrale Femmine e Maschi, realizzato grazie alla loro insegnante di materie letterarie, Patrizia Randi e a Roberta Xella un’insegnante di musica con esperienze teatrali. Un’ora di spettacolo che porta in scena la storia di una lite tra i ragazzi e ragazze e la scelta di superare il conflitto partendo per un viaggio in una fantastica isola tropicale dove scambiare abiti e ruoli. 
Lo sguardo critico nel viaggio immaginario, è quello di un ragazzo con una madre manager che viaggia su aerei pilotati da donne, ed un papà casalingo che accudisce i figli e prepara pranzo e cena. Sull’isola immaginaria, durante lo scambio di ruoli, i ragazzi e le ragazze dialogano e riflettono. All'inizio del gioco, vestendo i panni altrui, aderiscono ad un modello maschile e femminile caricaturale: ragazzi che indossano boa di struzzo e lunghe collane, ragazze che imitano i maschi “bulleggiando”. Il rispecchiamento fa levare proteste da entrambe le parti: "ma noi non siamo così!". Dopo le proteste e la consapevolezza della grande distanza che può esserci tra realtà e rappresentazione, i pregiudizi e gli stereotipi sono discussi e contestati.
Durante la riflessione collettiva, qualche stereotipo fa capolino di nuovo (come quando i ragazzi riconoscono alle ragazze il pregio di fare bambini) ma questo esercizio educativo può essere nel tempo ripreso e sperimentato nuovamente
Questo lavoro semplice ed efficace, è ispirato ad una lite realmente avvenuta a scuola, lo scorso autunno, tra banchi della II A. Una lite e i ragazzi sbeffeggiano le compagne ancheggiando su inesistenti tacchi, e le ragazze che ricambiano imitando "machi" che ruttano e dicono parolacce. L’insegnante intuisce che c’è la possibilità di stimolare una riflessione sui ruoli maschili e femminili e sui conflitti. Così è cominciato un lavoro di gruppo che ha rivelato come i pregiudizi positivi o negativi, sul genere maschile e femminile, siano fortemente attecchiti tra ragazzi e ragazze. Per mesi l’insegnante ha proposto un laboratorio sulla percezione corporea, la postura, la modulazione della voce, e pian piano è nata l’dea di un testo teatrale che affrontasse in modo semplice e adeguato all’età degli studenti, la questione delle differenze di genere. I ragazzi e le ragazze hanno fatto tutto da soli, hanno scritto il testo e il copione, sempre seguiti dalle “prof” che sono intervenute per invitare a riflettere sulla scelta delle parole e sul significato del ruolo. Dopo mesi di lavoro, Femmine e Maschi è andato in scena divertendo tutti: insegnanti, genitori e pubblico, ma soprattutto "gli attori e le attrici". Un bell’esempio di educazione e di allenamento al senso critico, in un momento in cui sul pensiero della differenza di genere e sull' impegno contro l’omofobia, soffiano veti episcopali, insorgono inquietanti "sentinelle", e si arriva ad opporsi all’educazione al rispetto dell’altro in nome della “difesa di valori tradizionali" o "della famiglia”.

lunedì 7 aprile 2014

Unitevi all'Appello dell'Associazione Nazionale D.i.Re al Governo Renzi

L'associazione nazionale D.i.Re donne in Rete contro la violenza si rivolge al presidente del Consiglio e pubblica un appello, invitando cittadine, cittadini, e parlamentari a firmarlo, affinchè siano mantenuti gli impegni presi dal Governo Letta

Dopo la ratifica della Convenzione di Istanbul, e l'approvazione della cosiddetta legge sul femminicidio che era stata criticata fortemente dai centri antiviolenza, lo scorso autunno erano cominciati i tavoli interministeriali per elaborare il nuovo Piano Nazionale Antiviolenza. I tavoli si sono riuniti per due mesi, aprendo un confronto, tra istituzioni ed associazioni, con l'obiettivo individuare azioni, definire protocolli e progetti per prevenire il fenomeno della violenza, sostenere e rafforzare le vittime. D.i.Re vi ha partecipato coinvolgendo le operatrici e le attiviste dei 65 centri antiviolenza che rappresenta, ma con la caduta del Governo Letta, i tavoli non si sono più riuniti e non si sa ancora che ne sarà delle riflessioni e del materiale che è stato prodotto durante quegli incontri. Il precedente Governo aveva stanziato 17 milioni di euro che avrebbero dovuto essere distribuiti tra i centri antiviolenza nel 2013 e nel 2014, come era previsto nella legge sul femminicidio. Ebbene nemmeno di questi finanziamenti si è più saputo nulla. Il governo Renzi, nonostante gli appelli del movimento delle donne e delle attiviste dei centri antviolenza non ha ancora assegnato le Pari Opportunità né ad un ministero né in delega. 
A marzo era stato fatto il nome di Teresa Bellanova che sarebbe succeduta a Maria Cecilia Guerra, occupandosi della delega per le Pari Opportunità, ma anche in questa occasione, tutto si è concluso con un nulla di fatto. Il Piano Nazionale Antiviolenza attende di essere rinnovato, ancora mancano protocolli omogenei sul territorio nazionale che rispondano adeguatamente alle donne che denunciano violenze, ancora ci sono solo 500 posti letto per le vittime e i loro figli, contro i 5mila500 previsti dalle direttive europee, e ancora i centri antiviolenza combattono giorno dopo giorno con la manzanza di finanziamenti e sopravvivono spesso grazie all'autotassazione delle attiviste. 
Nulla è cambiato da quando l'estate scorsa è stata ratificata, con il voto unanime del Parlamento, la Convenzione di Istanbul. Un atto che resterà una delle tante operazione di facciata, se non si manterranno gli impegni presi applicando le sue direttive. 
Il governo Renzi ancora non ha dato alcuna risposta, non l'ha data alle attiviste dei cenri antiviolenza e del movimento delle donne, non l'ha data alle donne che in Italia subiscono violenze e maltrattamenti. 
Unitevi all'appello! Lo trovate scaricabile QUI. Per aderire basta comunicare la propria adesione scrivendo a: direcontrolaviolenza@women.it
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