lunedì 18 agosto 2014

Blog Donne della Realtà: sulla donna scappata dal marito che la massacra di botte

Il 14 agosto sul blog Donne delle realtà è stato pubblicato Sull’ autobus, con la donna scappata dal marito cocainomane che la massacra di botte, di Paola Ciccioli. E’ il racconto di una donna vittima di violenza. L’ho letto con molto interesse fino al punto in cui la giornalista spiega che cosa è accaduto dopo che la donna si è rivolta ad un Centro antiviolenza. Riporto il brano del post: “Sono appena stata al Centro Antiviolenza e mi hanno detto che presenteranno la denuncia alla Procura della Repubblica. Accidenti, la denuncia non ci voleva. Adesso, come faccio?…Sono arrivata questa mattina presto in treno. Poco dopo la stazione ho visto una chiesa, sono entrata, c’era la messa. Ho aspettato che finisse e poi sono andata a parlare con una suora. Le ho spiegato di mio marito, delle botte, che sono scappata. Le ho chiesto se poteva aiutarmi anche a trovare un posto per andare a dormire. E la suora mi ha detto: Certo. Poi mi ha dato l'indirizzo del Centro antiviolenza e ci sono andata subito. Ma adesso parte la denuncia, manderanno i servizi sociali per i miei figli. Lui se la prenderà con me, dirà che ho sfasciato la famiglia. Come faccio? Cosa succederà? Ho paura".
Qualcosa non torna. E’ un peccato che la giornalista non abbia saputo a quale Centro Antiviolenza si fosse rivolta la donna anche se è comprensibile che fosse tesa ad ascoltare piuttosto che a prendere informazioni. Credo che questa storia sia emblematica per comprendere la differenza metodologica dei Centri antiviolenza aderenti a D.i.Re, che in Italia hanno fatto emergere il problema della violenza e che operano mettendo la donna al centro dei percorsi. La vicenda è accaduta a Milano e dubito fortemente che il Centro Antiviolenza in questione possa essere la Casa delle Donne Maltrattate di Milano. Un Centro antiviolenza non presenta denunce di propria iniziativa per molti motivi. L’autorità giudiziaria persegue i reati quando viene fatta una querela di parte (in questo caso è solo la persona interessata che la può fare) oppure procede d’ufficio: dipende dalla gravità del reato. Il reato di maltrattamento, ad esempio, è perseguibile d’ufficio. In un Centro antiviolenza la denuncia penale è una scelta della donna che non deve essere coartata o condizionata. Il consenso della donna e la sua intima adesione ad un percorso di uscita da una relazione violenta sono condizioni necessarie per insaturare una relazione di aiuto. Le donne devono poter esprimere la loro autodeterminazione. Nel racconto la donna sembra aver subìto l’azione penale e commenta la sua storia come se fosse stata abbandonata a se stessa. In un Centro la prima preoccupazione è trovare l’ospitalità per la donna insieme ai figli, lasciarle il tempo di decidere se denunciare e cosa fare, spiegando passo passo cosa può fare un Centro e cosa le accadrà. E ancora: è del tutto inusuale che fin dal primo incontro di accoglienza una donna sporga denuncia penale. Nel primo incontro la donna è accolta ed ascoltata, prima di agire (a patto che non ci siano situazioni di imminente pericolo)si deve capire. In secondo luogo, le operatrici dei centri antiviolenza non sono pubblici ufficiali e non possono fare segnalazione di reati presso la Procura. Sono tenute all’anonimato e alla segretezza circa quello che viene loro rivelato. La modalità di intervento di questo ‘Centro antiviolenza’, pare essere quello di un luogo istituzionale dove operano psicologhe che in qualità di pubblico ufficiale possono segnalare alla Procura della Repubblica eventuali reati e procedere con l’immediato coinvolgimento del servizio sociale per avviare procedure che riguardano i figli o le figlie. I luoghi istituzionali o semi-istituzionali fondano i loro interventi sull’applicazione di procedure rigide e non sul riconoscimento dell’autodeterminazione e della soggettività della donna. In un luogo istituzionale il progetto è proposto (o talvolta imposto) alla donna, in un Centro Antiviolenza la donna è la protagonista del proprio progetto di allontanamento da una relazione violenta. Purtroppo in Italia non esiste ancora una chiara definizione di Centro Antiviolenza. Un problema che ha reso possibile quella distribuzione di fondi a pioggia, recentemente decisa in conferenza Stato Regioni, che ha sollevato le proteste di D.i.Re e che ha incluso luoghi differenti e distanti dalla metodologia dei Centri antiviolenza storici, come molte associazioni che non si occupano specificatamente di violenza contro le donne (ad esempio il Movimento per la Vita e altre).
Il 24 luglio D.i.Re e altre organizzazioni non governative hanno presentato il Rapporto sull’attuazione della Piattaforma di Pechino per il quinquennio 2009-2014 per spiegare che cosa veramente è stato fatto dal Governo italiano in tema di diritti delle donne. Uno dei punti critici è la mancanza di chiarezza e di omogeneità, a livello nazionale, della definizione di Centro Antiviolenza e dei criteri atti a definire le caratteristiche dei servizi e delle strutture finalizzate ad accogliere ed ospitare le donne ed i loro figli. Inoltre manca la definizione e il riconoscimento della figura dell’operatrice di accoglienza. Oggi qualunque luogo può fregiarsi della qualifica di ‘Centro antiviolenza’ e può operare senza alcuna verifica delle competenze e della metodologia che attua ma soprattutto non è tenuto ad informare la donna sulla differenza tra luogo istituzionale e luogo privato. Le donne che chiedono aiuto devono sapere come lavorano i Centri Antiviolenza a cui si rivolgono, che siano pubblici o privati, e devono poter scegliere se affidarsi, dopo aver ricevuto tutte le informazioni necessarie.

sabato 16 agosto 2014

D.i.Re Donne in Rete ha ottenuto lo Status Consultivo al Consiglio Economico Sociale dell’Onu

L’associazione nazionale D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza, ha ottenuto lo status consultivo nel Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) e sarà iscritta all’anagrafe delle organizzazioni non governative dell’Onu. Un nuovo impegno per le donne dei centri antiviolenza, che hanno accolto con gioia la notizia dell’ammissione della domanda fatta circa un anno fa. Il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite ha tra i suoi vari scopi quello di aiutare gli Stati a raggiungere accordi per promuove il rispetto e l’osservanza dei diritti umani universali e la difesa dei diritti delle donne.
I 67 centri antiviolenza che aderiscono a Donne in Rete sono un osservatorio privilegiato sul fenomeno della violenza maschile contro le donne. I Centri lavorano per sostenere le donne che subiscono violenza e verificano sul campo le difficoltà e gli ostacoli che le donne incontrano per conquistare autonomia, dignità e libertà. Il prestigioso riconoscimento ottenuto rafforzerà l’impegno dell’associazione nazionale D.i.Re per affermare i diritti delle donne e superare gli ostacoli che rallentano il processo di libertà delle donne nel nostro Paese. Intanto, in Italia le cose non vanno affatto come dovrebbero per i diritti delle donne e la parità tra i generi. Nello scorso mese di luglio D.i.Re insieme ad altre associazioni  impegnate sul campo dei diritti delle donne, ha stilato una rilevazione quinquennale sul Rapporto sull’attuazione della Piattaforma d’Azione di Pechino,  che denuncia lacune e arretratezze non rilevate nella relazione 'ufficiale' fatta dal Governo. Nell’ultimo quinquennio, l’Italia è stata richiamata più volte per la latitanza della politica in tema di uguaglianza e libertà delle donne. Le principali criticità sono: la carenza di un sistema di raccolta, analisi e diffusione di statistiche di genere, che potrebbe consentire il monitoraggio e la valutazione di politiche da attuare; l’elevato livello di povertà femminile soprattutto nelle famiglia monoparentali e il continuo impoverimento del welfare; l’insufficiente difesa della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi; il basso tasso di occupazione delle donne e la precarietà: condizione condivisa dalle giovani e delle over 40. Tra questi problemi non manca la questione della violenza maschile sulle donne in attesa di un complesso ed efficace sistema di contrasto e l’entrata in vigore della Convenzione di Istanbul.
Nel 1995 il Piano di Azione di Pechino indicava precisi obiettivi da realizzare; ma ancora oggi l’impegno dei governi italiani che si sono succeduti è stato solo formale e le risposte sono state di carattere demagogico ed emergenziale. Venti Regioni italiane hanno approvato leggi sulla violenza contro le donne spesso senza finanziamenti adeguati e, soprattutto, non è mai stata fatta chiarezza sulla definizione di Centro Antiviolenza, né sono mai stati definiti criteri per le caratteristiche dei servizi e degli interventi delle strutture che devono accogliere donne vittime di violenza e i loro figli. E ancora: le politiche di sistema sono un miraggio. E’ vero che è stata approvata la Convenzione di Istanbul ma senza un quadro articolato di misure in adempimento degli obblighi che sono derivati dalla ratifica, il trattato europeo rischia di restare lettera morta. A questo punto la differenza la potranno fare solo le donne dei movimenti e la politica che saranno in grado di fare.
di Nadia Somma

martedì 12 agosto 2014

Quanto vale il lavoro delle donne nei Centri Antiviolenza?

Il 30 settembre la prima convenzione del centro antiviolenza Demetra donne in aiuto si concluderà. Le donne del centro stanno interloquendo con le istituzioni locali per chiedere un' implementazione dei progetti del centro antiviolenza, aumentando il finanziamento all'associazione anche in previsione dell'apertura della Casa Rifugio. 
Una struttura arredata e sistemata con le sole forze delle volontarie, che non avrà costi di locazione perche' di proprietà di una concittadina che ha stipulato un contratto di comodato con l'associazione. La Convenzione di Istanbul,in vigore dal 1° di agosto, indica ai Paesi che l'hanno sottoscritta, di sostenere le organizzazioni non governative, la legge quadro per la parità contro le discriminazioni di genere, varata dalla Regione Emilia Romagna lo scorso mese di giugno, riconosce il valore dei centri antiviolenza, il protocollo Anci - D.i.Re sottoscritto nel maggio 2013 anche; ma saranno sufficienti studi, linee guida, trattati internazionali, firme su firme e dichiarazioni di intenti in assenza di una volontà politica di intervenire strutturalmente sul fenomeno? L'indagine Quanto costa il silenzio? realizzata da Intervita Onlus ha fatto un calcolo dei costi della violenza contro le donne: il silenzio sul femminicidio costa 16,7 miliardi di euro, piu' di una legge di stabilità. Gli investimenti invece sono solo di 6,3 milioni di euro. La conclusione è che nel 2012 una donna ogni 3 giorni è stata uccisa dal proprio partner, e che più di un milione di donne hanno subito almeno una molestia. Volendo stimare anche gli atti di violenza si arriva alla cifra stratosferica di 14 milioni: ovvero 26mila euro al minuto. Nella nostra realtà locale dopo nove anni di attività politica e di servizi svolti a titolo di volontariato che hanno fatto emergere il problema dove non era mai stato misurato, l'associazione Demetra Donne in Aiuto, nel settembre 2013, ha ottenuto la prima Convenzione con l'Unione dei Comuni della Bassa Romagna che ha finanziato il progetto P.Eg.A.S.O. (Progetto Emergenza Accoglienza Sostegno ed Ospitalità. Questo ha permesso l'apertura del Centro Antiviolenza per tredici ore settimanali (invece delle quattro ore precedenti) e un servizio di osiptalità in emergenza dal lunedì alla domenica dalle 10 alle 23, senza soluzione di continuità. Il finanziamento previsto per il progetto era di 18 mila euro che è stato suddiviso in 13mila 200 euro per le due operatrici che si alternavano settimanalmente per l'emergenza e 3mila 800 per l'operatrice che lavorava all'accoglienza. E' sufficiente fare un calcolo aritmetico per capire che la retribuzione netta delle operatrici del'emergenza è stata di 450 euro al mese per 308 ore di reperibilità (retribuzione che ha eslcuso gli interventi ed i rimborsi spese).

L'operatrice dell'accoglienza è stata invece retribuita con 230 euro nette per 36 ore mensili. Una scommessa che le operatrici hanno accettato per un anno, consapevoli di fare un notevole monte ore di lavoro non retribuito adeguatamente con l'obiettivo di dare maggiori risposte al problema della violenza, in attesa di un più forte sostegno delle istituzioni. L'associazione ha provveduto a reperire fondi con privati per aumentare di 100 euro mensili il compenso delle due operatrici dell'emergenza e di 70 euro quello dell'operatrice di accoglienza e per pagare altre spese. I mille euro avanzati dal finanziamento sono stati spesi per bollette telefoniche, cancelleria ecc. Se facciamo un bilancio dal 1 ottobre 2013 al 31 luglio 2014, sono state svolte 86 ore settimanali retribuite dal progetto P.Eg.A.S.O. Progetto Emergenza Accoglienza Ospitalità per 34 settimane per un totale di 2mila 924 ore. Le ore di volontariato (2948 h 50’) hanno superato quelle retribuite (2924). Nel 2012 le ore di volontariato erano state 1139, ed erano calate rispetto al periodo comnpreso tra il 2007 ed il 2010 quando il progetto ospitalità in emergenza venne sospeso in quanto era finanziato con 3mila 500 euro annui, di fatto era realizzato con il solo volontariato e con spese tutte a carico dell'associazione. Con la convenzione le ore di volontariato sono aumentate: questo significa che quanto più le istituzioni sostengono con finanziamenti i centri antiviolenza tanto più si implementa l’attività di volontariato. I motivi sono da riscontrare nella maggiore razionalizzazione e organizzazione del lavoro che grazie al supporto di operatrici retribuite ha prodotto un maggior tempo investito nella formazione e nel coinvolgimento di nuove volontarie per realizzare nuovi progetti. Le ore retribuite sono da suddividere tra 2618 h dedicate all’emergenza e 306 dedicate all’accoglienza delle donne. Se si sommano le ore di accoglienza retribuite dalla convenzione (306) a quelle svolte a titolo di volontariato (647) si giunge a complessive 953 ore di accoglienza dedicate alle donne nel periodo dal 1 ottobre al 31 luglio da cui si evince che l’associazione Demetra è impegnata nelle sole ore di attività dell’accoglienza, dal lunedì al venerdì per 5 ore e mezza giornaliere. Le ore realizzate grazie al progetto P.EG.A.S.O sono da suddividere tra 2618 h dedicate all’ospitalità in emergenza e 306 dedicate all’accoglienza delle donne. L’ospitalità in emergenza è quella che ha necessitato della metà delle ore di attività svolte dall’associazione (53%) al secondo posto l’accoglienza (16%), al terzo la formazione e la supervisione (6%) e poi le consulenze legali (5,1%). Il lavoro d’equipe che consiste in riunioni e organizzazione del lavoro è al quinto posto (4,5%), seguono redazione di materiale informativo e progetti (3,5%), allestimento Casa Rifugio (3,4%), accompagnamenti (2,9%), contabilità (1,7%), eventi (1,5%), sportello lavoro (0,8%), Coordinamento Regionale dei centri antiviolenza (0,8%), Osservatorio Regionale sulla violenza (0,5%), D.i.Re Donne in Rete (0,3%). Si tratta di una notevole somma di ore che impegnano un numero di 15 socie e sei consulenti (sei donne ed un uomo, un avvocato) e che mantengono in vita un progetto che altrimenti non sarebbe possibile realizzare. Se si calcola invece economicamente il volontariato tenendo conto di una retribuzione di 15 euro all'ora, si verifica che tradotto in termini economici, il centro antiviolenza Demetra ha prodotto un lavoro pari a 44mila 220 euro. La cifra è calcolata per difetto. Ho descritto la realtà del centro antiviolenza Demetra ma tutti questi sono progetti che se non fossero realizzati dai centri antiviolenza non troverebbero alcuna prosecuzione, in quanto le istituzioni non li realizzano. Sarebbe sufficiente razionalizzare le spese per dare sostegno adeguato ai centri antiviolenza e senza cifre esorbitanti rispetto ai costi della violenza. La Regione Emilia Romagna sta provvedendo a verificare il censimento di case rifugio e centri antiviolenza rispetto a quanto era emerso dalla Conferenza Stato Regioni quella che ha stabilito criteri per i quali ad ogni centro antiviolenza spetterebbero 3500 euro l'anno. In attesa di risposte istituzionali il lavoro delle donne dei centri antiviolenza mantiene in essere, nonostante tutto, progetti per la salute e la vita delle donne. Ma fino a quando? 
di Nadia Somma