venerdì 15 maggio 2015

Mailbombing contro Che Tempo fa per la trasmissione andata in onda il 10 maggio

Domenica scorsa a Che Tempo Fa, la soubrette Michelle Hunziker ha fatto propaganda alla proposta di legge di iniziativa popolare dell’onorevole Giulia Bongiorno che prevede il carcere per il genitore che “aliena i bambini del partner” ovvero per chi causa la Pas nei figli. L’avvocata di Doppia difesa chiede quindi una pena detentiva per un reato inesistente. La  Pas non solo non è un reato ma non è nemmeno riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale e non è stata mai inserita nel DSM-V.Per approfondimenti potete aprire il link all’articolo di Luisa Betti che trovate nel testo della lettera che riporto in calce al post.
La Pas teorizzata da Richard Gardner, uno psichiatra americano morto suicida nel 2003,  è una sindrome che colpirebbe bambini e bambine a causa di genitori (ma Gardner si riferiva soprattutto alle madri)  che ne ostacolerebbero la relazione con l’altro genitore. Questa sindrome è stata  adoperata per anni nei tribunali, come una sorta di “malleus maleficarum” contro le donne che intendevano tutelare i figli da abusi o allontanarsi da partner violenti e che sono state rivitimizzate e  accusate di alienazione genitoriale senza che fosse svolto alcun approfondimento o verifica dei motivi che avevano indotto un bambino a rifiutare il padre. La peculiarità della teoria della Pas è proprio quelladi escludere che  un genitore rifiutato dal figlio abbia qualche responsabilitàche sarebbe invece da ricercare nella malevolenza del genitore “alienante”. Una teoria pericolosa per i bambini e le bambine vittime di abusi e violenza tantoché anche l’associazione nazionale D.i.Re donne in Rete contro la violenza si è espressa più volte perché non fosse accolta nelle perizie forensi.
Nell’onda del backlash che ha colpito nell’ultimo decennio i diritti delle donne, la Pas è stata  strumentale per  chiudere la bocca di quelle che denunciavano violenze. Contestata e messa al bando dalla comunità scientifica,  la Pas  resiste più come una ideologia e ancora oggi la troviamo  adoperata, malamente mascherata con altre definizioni, nelle perizie di alcuni CTU o CTP nelle cause di affidamento dei figli/e.  Forse è proprio  perchè la Pas ha perso terreno che la Bongiorno si sta adoperando (cui prodest?)  a resuscitare questo Frankenstein della psichiatria e delle discipline  forensi con la “scarica elettrica” delle reazioni della pancia popolare . Una trasmissione del servizio pubblico, però, dovrebbe distinguere tra informazione e propaganda e non prestarsi a servire  iniziative volte sole a solleticare le viscere con la distribuzione di forca e disinformazione.
Dopo la trasmissione, la rete si è mobilitata (qua una lettera della blogger Ricciocorno e di Maria Serenella Pignotti) e Luisa Betti che per anni ha svolto una informazione sui danni della Pas, ha promosso  una mailbombing contro gli autori di Che Tempo fa, il conduttore Fabio Fazio e Doppia difesa.
Lorenzo Gasparrini, attivista e blogger sul tema della parità di genere ha pubblicato la lettera da lui inviata che potete copiare e inviare per la vostra mail per il mailbombing a:
raitre.chetempochefa@rai.it, chefuoritempochefa@rai.it, info@doppiadifesa.it, segreteria@doppiadifesa.it  • ed ecco il testo:
Spett. “Che tempo che fa” e “Doppia difesa”,
quanto successo domenica 10 maggio scorsa, e raccontato nei particolari da questo articolo di Luisa Betti: http://bettirossa.com/2015/05/13/hunzinker-e-bongiorno-chiedono-il-carcere-per-chi-si-macchia-di-un-reato-inesistente/
è davvero imbarazzante e vergognoso.
Vedere avallato da una trasmissione televisiva popolare (nella quale la responsabilità di conduttore e autori, anche se palesemente ignoranti del tema in oggetto, non è scusabile in nessun modo) una tale mostruosità non fa che convincermi sempre di più che una battaglia civile sui temi dei femminismi, degli studi di genere, della parità di genere, contro le ignoranze e le ipocrisie di un paese arretrato come pochi al mondo su questi temi è sempre più necessaria – com’è necessario protestare in occasioni come questa.
La complicità, anche se involontaria, con una informazione scorretta non è più scusabile in nessun modo. Le informazioni ci sono, le competenze pure: chi si occupa di programmi televisivi di massa dovrebbe avere – non per legge, ma per propria etica professionale – molti più scrupoli prima di offrire microfono e telecamere a chi rappresenta, sul tema, solo una fazione i cui argomenti sono sconfessati addirittura dalla Cassazione (come si può leggere nell’articolo linkato sopra). Se vi serve sapere come una fazione arrivi ad avere dalla sua parte una proposta di legge e un programma televisivo, non mancano certo le conoscenze per spiegarlo. Basta avere, ripeto, lo scrupolo professionale di interrogarle. E’ paradossale che in un periodo nel quale qualunque chiacchierone pretende su media – ed è accontentato! – un “contraddittorio”, proprio su un argomento così complesso e doloroso si sia lasciata mano libera a una sola delle parti.
Non credo nella malafede – essa va provata, non la si denuncia a vuoto. Credo più nell’ignoranza e nella superficialità, che ne sono certamente i prodromi, ma che non sono reati. Sono solo l’ennesima dimostrazione che nella comunicazione pubblica la competenza e la conoscenza dei fatti su cui basare gli argomenti non sono richieste. La gravità di quanto accaduto sta qui: quello che è andato in onda non è stato presentato come un mero spettacolo propagandistico – ciò che nei fatti è stato – ma come informazione. E non lo è stata.
Milioni di persone che hanno assistito alla trasmissione – prive di competenza  tra l’altro neanche particolarmente specifica – hanno assimilato concetti, spiegazioni e costruzioni sociali del tutto discutibili nel merito. Trovo tutto ciò gravissimo, tenendo conto che si parlava anche di vite di minori.
Ciò che vorrete fare in proposito – anche se non farete assolutamente niente – testimonierà della vostra buona fede e della vostra etica professionale.
«Quello che infatti succede in Italia, e che forse non tutti sanno incluso Fabio Fazio, è che sempre più spesso donne che denunciano violenza domestica e hanno i figli che non vogliono vedere il padre proprio perché vittime di violenza assistita o subita, si ritrovano accusate di alienare questi minori grazie alla Pas che serve a dimostrare che la violenza non c’è e che è in realtà si tratta di una falsa accusa in quanto è la madre che mette contro la prole nei riguardi del padre, e questo senza neanche ascoltare le ragioni del minore: una situazione che questa legge aggraverebbe mandando queste donne anche in prigione.»
Vi invito ad aderire all’iniziativa
@Nadiesdaa

domenica 10 maggio 2015

La Mater in mostra, la mamma e le altri madri

Nel giorno della Festa della Mamma è il momento giusto per ricordarvi che, ancora fino al 28 giugno, potrete visitare la mostra Mater, a Parma, dedicata ai percorsi simbolici nella maternità. Ma oggi alle 18 per andarci c'è una ragione in più: l'incontro con Michela Murgia e con il suo toccante monologo Altre Madri.


Seguito da auguri e brindisi con il "Circolo Culturale Sardo Grazia Deledda" di Parma. 


giovedì 7 maggio 2015

Piano nazionale antiviolenza sulle donne: indietro tutta!

Piano nazionale antiviolenza sulle donne: indietro tutta!

Lo abbiamo atteso a lungo un piano nazionale contro la violenza alle donne, lo abbiamo sollecitato per oltre un anno. Nel dicembre del 2014, abbiamo accolto con scoramento l’annuncio delleconsultazioni online: un’operazione demagogica e di “marketing” a vantaggio del governo Renzi che l’ha spacciata per democrazia tra i suoi elettori  e le sue elettrici per  convocare nei mesi seguenti, le associazioni che si occupano di violenza contro le donne  ma solo per  sottoporre alla loro attenzione la bozza del Piano e chiedere il gentile consenso. Ieri  Udi, D.i.Re, Telefono Rosa, Fondazione Pangea e Maschile Plurale hanno bocciato il Piano e in comunicato stampa e criticato il governo per aver “perso l’occasione storica di combattere con  azioni specifiche, coordinate e efficaci la violenza maschile contro le donne  attraverso un Piano che affronti le esigenze tassative poste dalla Convenzione di Istanbul per proteggere, prevenire e combattere la violenza maschile”. Oggi Giovanna Martelli ne ha presentato pubblicamente il testo contraddittorio e incongruente persino nella parte che affronta il problema della discriminazione del linguaggio perché non c’è la declinazione al femminile quando si parla di donne.

Fra la premessa e gli obiettivi condivisibili e la descrizione delle azioni da intraprendere esiste un gap fatto di percorsi delle donne fortemente istituzionalizzati,accentramento nelle mani del governo delle azioni politiche da svolgere per contrastare la violenza contro le donne, neutralizzazione delle specificità deicentri antiviolenza omologati a qualunque altro servizio e ridotti al ruolo “tecnico”. I finanziamenti sono esigui per i progetti di accoglienza e sostegno per le donne vittime di violenza e ci sono grandi dubbi sulla effettiva operatività per la parte che riguarda la conduzione delle azioni da intraprendere. Il Piano delinea un sistema di governance caotico e pone rilevanti problemi giuridici a livello locale col rischio che nelle città metropolitane e nelle Province si convochino più tavoli con gli stessi soggetti istituzionali causando una sovrapposizione di reti. L’impostazione è complessivamente di tipo sanitario-securitario con le donne viste come soggetti da “prendere in carico” (si donne questo è il linguaggio del Piano) in palese contraddizione con le premesse che parlano della necessità di empowerment. Il governo non si è ancora reso conto che non è sufficiente che una donna si rivolga al pronto soccorso o sporga denuncia per uscire dalla violenza e tantomeno che trovi un  lavoro. C’è bisogno di luoghi che accolgano le donne e le accompagnino nel difficile percorso di uscita dalla violenza partendo dalla rafforzamento della loro autodeterminazione e delle loro scelte. Ma nello scorrere le pagine pare di avvitare una vite spanata che non fisserà mai nulla.

Eppoi c’è il tasto dolente che riguarda l’istituzione della Banca dati. Il governo non ha nemmeno preso in considerazione il lavoro che era stato svolto sui tavoli  della Task Force nell’autunno nel 2013. Allora era stata prevista la realizzazione di un protocollo di intesa con l’Istat che avrebbe svolto in sinergia con i centri antiviolenza, l’importante e delicato ruolo  di regia per la raccolta dati dai diversi soggetti che incontrano donne che subiscono violenza.Nulla di fatto! I dati saranno raccolti dai centri antiviolenza e da altri soggetti con il rischio di sovrapposizioni. Il Piano ammette che le fonti di carattere istituzionale non sono sempre idonee a cogliere il fenomeno nella sua completezza, parla di i gap informativi e diinsufficienza della modulistica ecc. ma intanto rende marginale il ruolo dell’Istat e con l’auspicio di passare (prima o poi) dall’attuale situazione di accumulo di dati derivanti da più fonti ad uno strumento conoscitivo contestualizzato  procederà alla raccolta di questo “flusso” di dati che sarà appaltato a privati (o yes all’appalto!). La previsione di spesa? Duemilioni di euro mentre la ricerca dell’Istat sulla violenza contro le donne era costata 400mila euro. Con questa decisione – ha commentato  Titti Carrano, presidente D.i.Re – viene meno il progetto di rendere obbligatoria e continua una ricerca sulla violenza di genere e senza una descrizione quantitativa e qualitativa del fenomeno non è pensabile, né verificabile, alcuna politica di prevenzione e di contrasto”.
Con un parlamento che non ha mai visto una percentuale di deputate e forse pure di ministre così alta nella storia del nostro Paese, stiamo per avere un deja vu,  perché il governo  farà con la violenza contro le donne ciò che venne fatto con i consultori, quei luoghi che erano stati importanti per la salute e i percorsi di autodeterminazione delle donne, assorbiti masticati e digeriti e che oggi sono solo una bella storia del passato.

L’obiettivo dei centri antiviolenza oggi è resistere!