I centri antiviolenza aderenti a D.i.Re - Donne in Rete contro la violenza si sono riuniti a Reggio Emilia il 10 e l’11 maggio nell’Ostello della Ghiara, luogo suggestivo e accogliente per le oltre centotrenta donne provenienti da tutta l’Italia, riunitesi per confrontarsi sul tema del rapporto tra donne, violenza e istituzioni.
L’esigenza emersa con più forza nell’incontro è indirizzata a valorizzare l’identità dei centri antiviolenza in un momento in cui sia le istituzioni che altre organizzazioni, private e pubbliche, stanno cercando di dare risposte al problema, con obiettivi, prassi e metodi, distanti da quelli dei centri e soprattutto lontani dalla autentica lettura del problema. L’identità dei centri antiviolenza ha ricchezza che nasce dall’analisi e dall’esperienza del fenomeno della violenza maschile e dal riconoscimento della sua natura culturale e strutturale: le radici della violenza maschile sono da ricercare nella disparità di potere tra donne e uomini, lettura accolta dalla Convenzione di Istanbul, che entrerà in vigore dal primo agosto. Per i centri antiviolenza il lavoro di sostegno alle donne che subiscono violenza, che comprende accoglienza e ospitalità, azioni legali a salvaguardia dei diritti delle donne e altri progetti di supporto non è disgiunto dalla lettura politica del fenomeno della violenza e dalla rigorosa analisi critica delle logiche, degli interventi e delle azioni che le istituzioni mettono in campo. La metodologia dei centri è quella che mette al centro dei percorsi e dei progetti la donna valorizzando la sua scelta e la sua decisione, riconfermando la autodeterminazione come principio imprescindibile per la libertà sia dalla violenza nelle relazioni affettive che dalle violenze e le discriminazioni culturali e simboliche. Troppo spesso gli interventi istituzionali sono volti a salvaguardare e a tutelare le donne in quanto soggetti fragili, aumentando la non comprensione del fenomeno nella sua natura. Al centro di questi interventi viene posta frequentemente la famiglia per intero con o senza i figli minori, rendendo, pertanto, più complessa l’azione dei centri nonché il percorso di riconoscimento della violenza e di consapevolezza dei propri diritti per la donna accolta. I centri non sono semplici erogatori di servizi: questo è emerso nel corso della discussione che ha affrontato gli aspetti e le criticità derivanti dalle convenzioni e protocolli con le istituzioni a vari livelli. La complessità e la ricchezza del lavoro dei centri viene sminuita, frammentata e rischia di perdersi nell’ambito dei rapporti formalizzati con enti che appiattiscono ruoli e funzioni dei centri antiviolenza, annullando o indebolendo il progetto politico. Porre un limite alla richieste delle istituzioni che a volte non riconoscono l’originalità dei centri antiviolenza è diventato un’esigenza e una necessità per evitare di disperdere il valore della progettualità politica. Restano ancora in attesa di risposta alcune questioni che D.i.Re ha posto anche di recente al governo Renzi con l’appello dell’8 aprile scorso: - l’interruzione del lavoro dei tavoli della task force interministeriale portato avanti con molto impegno da D.i.Re; - l’elaborazione del nuovo Piano Nazionale contro la violenza; - i finanziamenti di 17 milioni di euro ai centri antiviolenza già stanziati ma bloccati dal nuovo governo Renzi; - i criteri che adotterà il Governo per la definizione di centro antiviolenza e la conseguente destinazione dei finanziamenti. Nei prossimi mesi le istituzioni italiane saranno chiamate ad una piena assunzione di responsabilità politica nei confronti della violenza contro le donne, la Convenzione di Istanbul richiede politiche organiche e strutturali nei confronti del fenomeno e le risposte del Governo non potranno prescindere dalle importanti indicazioni del trattato europeo. A conclusione dell’incontro è stato deciso di creare una scuola o laboratorio di politica dei diritti delle donne itinerante che sia fonte di riflessione continua e rafforzi l’identità dei centri chiamati a fronteggiare i cambiamenti sociali e culturali, senza perdere il legame con la politica di genere e il pensiero femminista.
L’esigenza emersa con più forza nell’incontro è indirizzata a valorizzare l’identità dei centri antiviolenza in un momento in cui sia le istituzioni che altre organizzazioni, private e pubbliche, stanno cercando di dare risposte al problema, con obiettivi, prassi e metodi, distanti da quelli dei centri e soprattutto lontani dalla autentica lettura del problema. L’identità dei centri antiviolenza ha ricchezza che nasce dall’analisi e dall’esperienza del fenomeno della violenza maschile e dal riconoscimento della sua natura culturale e strutturale: le radici della violenza maschile sono da ricercare nella disparità di potere tra donne e uomini, lettura accolta dalla Convenzione di Istanbul, che entrerà in vigore dal primo agosto. Per i centri antiviolenza il lavoro di sostegno alle donne che subiscono violenza, che comprende accoglienza e ospitalità, azioni legali a salvaguardia dei diritti delle donne e altri progetti di supporto non è disgiunto dalla lettura politica del fenomeno della violenza e dalla rigorosa analisi critica delle logiche, degli interventi e delle azioni che le istituzioni mettono in campo. La metodologia dei centri è quella che mette al centro dei percorsi e dei progetti la donna valorizzando la sua scelta e la sua decisione, riconfermando la autodeterminazione come principio imprescindibile per la libertà sia dalla violenza nelle relazioni affettive che dalle violenze e le discriminazioni culturali e simboliche. Troppo spesso gli interventi istituzionali sono volti a salvaguardare e a tutelare le donne in quanto soggetti fragili, aumentando la non comprensione del fenomeno nella sua natura. Al centro di questi interventi viene posta frequentemente la famiglia per intero con o senza i figli minori, rendendo, pertanto, più complessa l’azione dei centri nonché il percorso di riconoscimento della violenza e di consapevolezza dei propri diritti per la donna accolta. I centri non sono semplici erogatori di servizi: questo è emerso nel corso della discussione che ha affrontato gli aspetti e le criticità derivanti dalle convenzioni e protocolli con le istituzioni a vari livelli. La complessità e la ricchezza del lavoro dei centri viene sminuita, frammentata e rischia di perdersi nell’ambito dei rapporti formalizzati con enti che appiattiscono ruoli e funzioni dei centri antiviolenza, annullando o indebolendo il progetto politico. Porre un limite alla richieste delle istituzioni che a volte non riconoscono l’originalità dei centri antiviolenza è diventato un’esigenza e una necessità per evitare di disperdere il valore della progettualità politica. Restano ancora in attesa di risposta alcune questioni che D.i.Re ha posto anche di recente al governo Renzi con l’appello dell’8 aprile scorso: - l’interruzione del lavoro dei tavoli della task force interministeriale portato avanti con molto impegno da D.i.Re; - l’elaborazione del nuovo Piano Nazionale contro la violenza; - i finanziamenti di 17 milioni di euro ai centri antiviolenza già stanziati ma bloccati dal nuovo governo Renzi; - i criteri che adotterà il Governo per la definizione di centro antiviolenza e la conseguente destinazione dei finanziamenti. Nei prossimi mesi le istituzioni italiane saranno chiamate ad una piena assunzione di responsabilità politica nei confronti della violenza contro le donne, la Convenzione di Istanbul richiede politiche organiche e strutturali nei confronti del fenomeno e le risposte del Governo non potranno prescindere dalle importanti indicazioni del trattato europeo. A conclusione dell’incontro è stato deciso di creare una scuola o laboratorio di politica dei diritti delle donne itinerante che sia fonte di riflessione continua e rafforzi l’identità dei centri chiamati a fronteggiare i cambiamenti sociali e culturali, senza perdere il legame con la politica di genere e il pensiero femminista.