lunedì 21 dicembre 2015

Lettera di una mamma a Gesù bambino

Ricevo e pubblico una lettera inviatami da una donna accusata di alienazione parentale o Pas

Caro Gesù bambino,
in occasione della ricorrenza della tua nascita, vorrei rivolgerti una preghiera, che mi auguro tu riesca ad ascoltare in mezzo al frastuono di richieste ed appelli che in questo festoso periodo avrai già ricevuto e continuerai a ricevere. Per favore, non scordarti di vegliare su mio figlio, che è venuto al mondo proprio in questi giorni di festa, e compie gli anni come te alla fine dell’anno. Mio figlio Franceschino è venuto alla luce una notte di dicembre, nella casa della mamma, in mezzo a fiocchi di neve, pacchetti sotto l’albero e fuochi d’artificio.

Sono una mamma dinamica, presente per lui quel poco che resta del giorno, fra il tramonto e l’ora di fare le nanne, quando ritorno dal lavoro, sempre un po’ troppo stanca, ed un po’ preoccupata per le bollette e l’affitto da pagare, i compiti da finire, la cena e la buona notte da preparare per lui. Faccio tutto da sola. I preziosi angeli del focolare che si occupano di lui per tutto il resto del tempo sono i nonni, pilastri di questa vita tiranna di affetto e di pace.
Per favore, non dimenticarti di Franceschino. Questo potrebbe essere il primo Natale che trascorre lontano dalla sua famiglia, o forse, se tu getti un po’ di polvere sul fascicolo che da anni è ferocemente vivo presso il Tribunale dei Minorenni, potrebbe essere almeno l’ultimo che trascorre a casa. Il mio bimbo è scomodo a tanti. Non lo vogliono lasciare a casa, nella casa dove è nato con le persone che lo hanno atteso e cresciuto, fra mille sacrifici e gioie. Io non lo posso tutelare, né sono più in grado di farlo restare a casa nostra. Non sono nemmeno più forse la sua mamma. Lo resto nel DNA e nelle amorevoli cure e calore e serenità che ho saputo offrirgli in questi anni.
Lo so che lui non è un bimbo siriano, afghano, o coreano. È italiano. Non ha patito bombardamenti, mutilazioni né esodi. Eppure è anche lui un profugo di guerra, vittima di un crudo regime. Anche lui presto dovrà abbandonare la sua casa, la sua scuola, la sua normalità, i suoi affetti più cari per essere collocato in un istituto insieme ad altri bambini i cui familiari non sono in grado di occuparsene, provenienti da ogni dove. Di miserie ce ne sono tante, che non si vedono al notiziario delle 20.00. Se avessi perso il lavoro e non fossi più in grado di mantenerlo in una vita decorosa, caro Gesù bambino, ti chiederei di farmi trovare un nuovo lavoro. Ma il lavoro non mi manca. Se avessi perduto la casa, ti chiederei di farmene trovare una, piccola piccola, in cui ci fosse spazio per mettere un lettino e un po’ d’amore la sera. Eppure non ho perso nemmeno la casa. Se io avessi perso la salute, e non fossi in grado di curarmi del mio bimbo, ti chiederei di darmene ancora un po’. Se io avessi perso la ragione, e la sto per perdere, credimi, ti chiederei di restituirmela. Se io fossi una criminale, ti chiederei perdono per le mie colpe, chiederei subito di pagare il mio conto con la società, per essere reintegrata. Se ci fosse qualcosa che io potessi cambiare per poter tornare ad accudire il mio bimbo, ti prego di farmelo sapere, e di fare questo miracolo.

Mi chiederai ora dov’è suo padre e perché non ci aiuta.
Caro Gesù, perdonalo anche tu. Illuminalo. Proteggi Franceschino dalla sua guerra e dal suo odio. Prima che il seme di una nuova vita nascesse nel mio grembo, lui mi aveva già fatto del male. Sono fuggita. Impaurita e spaesata. Un giorno poi è tornato. È tornato a prendersi quello che gli appartiene. Un patriarca con piena ed indiscussa autorità sui suoi discendenti. Qualunque cosa lui chieda al bambino o a me, gli è dovuta per diritto. Ha scatenato una guerra lucida e ostinata, con un esercito professionale ben strutturato al suo seguito. Prima mi ha indebolita fisicamente, economicamente e psicologicamente. Poi si è recato presso il Tribunale indicando una da lui presunta incapacità genitoriale mia, ed una presunta sindrome psichiatrica da cui potrebbe essere afflitto il bimbo a causa della mia incapacità genitoriale. Sono stata definita una mamma con comportamento alienante, hanno detto che plagio mio figlio per non fargli amare il padre. Che mio figlio ha un problema relazionale col padre a causa mia. Franceschino da quando è nato ha visto suo padre principalmente nelle stanze delle Asl, dei centri specializzati, nelle Caserme, nei corridoi dei Tribunali, della Procura, nelle asettiche stanze con la telecamera accesa. Sono stata insultata e lesa da tutti quelli che in quegli spazi ho incontrato. Il male peggiore non sono state le percosse ricevute, ma il non essere creduta, sostenuta, né aiutata. Neppure ascoltata. Essere accusata di essere malevola, superba, ostativa. I miei difensori vedevano gonfiare il loro portafogli mentre si assottigliavano le possibilità di tenere mio figlio a casa con la mamma. Nessuno ha detto che far nascere e crescere un bambino sano e stupendo sia stato un atto di coraggio ed amore da parte mia.
Esclusivamente mia. Nessuno ha contestato la mancanza di interesse e di sostegno da parte del padre. Lui non esercita neppure il diritto di visita, trincerato dietro le scuse e le contestazioni tutte uguali riguardanti il mio operato. Nessuno mi ha concesso il diritto di affiancare il mio cognome a quello del padre. Nessuno ha ritenuto che io avessi il diritto di continuare ad occuparmi di mio figlio, dal momento che non se ne occupa anche il padre.
Sono stati eseguiti molteplici accertamenti ed indagini su di me, sulla mia psiche e sulla mia vita. Sulla relazione con mio figlio. Sono risultata una persona normale, che abita in una casa decorosa, con un lavoro stabile, un cinema ogni tanto. Non faccio uso di stupefacenti, non bevo alcol, non ho una condotta sessuale promiscua. Non mi prostituisco. Non ho mai maltrattato mio figlio. La mia fedina penale è immacolata. Neanche una cartella di Equitalia. Qualche multa per divieto di sosta, forse. Non soffro di disturbi o patologie accertati. La mia unica dipendenza è relativa al cioccolato fondente. Potessi correggere qualcosa della mia persona o del mio comportamento per fare in modo che lui resti a casa con me, lo farei subito. Eppure non sono più ritenuta una buona mamma per il mio Franceschino. Nonostante lui sia un bimbo sano, sereno, in una fase di sviluppo normale per la sua età. Va a scuola, l’inglese, il basket, la bicicletta senza rotelle. Gli amichetti, le festicciole, le letterine, il pongo, i supereroi.

Il mio principale difetto? È stato detto che, sebbene il mio bimbo sia capace di distaccarsi con serenità da me per esplorare lo spazio che lo circonda, io vivo male il distacco da lui. E questa è una vera contraddizione in termini: se è stato riscontrato da parte degli specialisti, di fatto, che Franceschino è in grado di distaccarsi serenamente dalla sua figura di riferimento principale, anche detta caregiver, che nel suo caso specifico coincide con la mamma, la psicologia insegna che questo processo è possibile solo se l’adulto è in grado di non suscitare ansie in lui nel momento dell’allontanamento e del ricongiungimento. E perciò, se non sono presenti ansie nel mio bimbo, significa che le ansie non sono presenti neanche in me. Ma c’è di più: significa che sono una mamma premurosa, solida, accogliente, che lo stimola e lo incoraggia adeguatamente alle sue piccole grandi scoperte e conquiste, e che posseggo la giusta serenità ed il giusto equilibrio per renderlo sempre più autonomo e supportarlo nelle sue normali fasi di crescita e sviluppo. Ma questo è in effetti il mio peccato originale. Non viene tollerato da parte del padre né dalla società civile il fatto che questa mamma non sia riuscita a trasferire su quel padre lo stesso attaccamento da parte del figlio. Come se la responsabilità di ciò fosse mia. Allora è cominciato ad andare tutto di traverso. Le ostilità, le minacce, gli ammonimenti, gli incartamenti. Hanno cominciato a scrivere che sono ostativa, iperprotettiva, alienante. Eppure mio figlio continua ad essere lo stesso bambino allegro e sicuro di sempre. Ma con qualche incertezza. Con qualche timore. Franceschino è stato trascinato presso tante aule, ha conosciuto tante figure che hanno tentato di sostituirsi alla sua mamma. Che gli hanno spiegato che se lui non si comporta bene gliela porteranno via, la sua mamma, la sua casa, la sua vita..

Mio figlio sta vivendo come un prigioniero. Sa che le maestre a scuola lo osservano e lo valutano. Ha paura di farsi vedere con un buco nei pantaloni o con il grembiule sporco, di dare uno spintone ad un compagno o di piangere se inciampa e cade. Ha paura quando la notte è buio e non mi sente accanto a lui. Ha paura che i miei sacrifici non possano bastare per lasciarlo crescere dove lui è nato, dove sta bene, e soprattutto dove il padre non viene mai a trovarlo, per disprezzo e rabbia. Suo padre è infatti disponibile ad venirlo a trovare solo in uno spazio neutro o in un istituto, ove io non devo neppure farmi vedere, come una criminale, ed ove terze persone epureranno il bambino dalla mamma e dalla famiglia materna intera. Dopo che Franceschino sarà stato opportunamente minacciato, resettato ed purificato dalla mia contaminazione, allora si renderà disponibile a tutto pur di uscire dal lager, anche di andare a vivere con l’estraneo padre padrone. Soltanto allora la guerra infanticida e matricida sarà definitivamente vinta. Non gli è stato possibile mantenere neppure il mio cognome, affiancato, anzi, posposto a quello del padre, per mantenere viva almeno la mia memoria. Non è possibile, infatti, tuttora in Italia, presentare la richiesta di aggiunta del cognome materno per un minorenne, senza il consenso del padre.
Caro Gesù bambino,
quest’anno per Natale ho ricevuto un parere favorevole affinché sia revocata la mia responsabilità genitoriale. Manca solo un timbro, poi l’allontanamento forzato, i traumi, le vite spezzate, le ferite irrimediabili. Non ho fatto niente, non ho colpe da espiare. Ho solo chiesto che Franceschino possa abituarsi gradualmente e con la massima calma e serenità alla presenza di un estraneo: suo padre. Ho solo chiesto di ascoltare i suoi bisogni e rispettare i suoi tempi, in nome di un’infanzia serena in cui, passo dopo passo, si tentasse di integrare anche il padre. Lo continuerò a chiedere sempre, anche se continueranno a non ascoltarmi. I sacrifici sono stati richiesti solo al bambino. Il padre non deve fare nulla. Ha fatto la sua denuncia, ha detto che il bambino non è bendisposto nei suoi confronti, e grazie a dei grossolani accertamenti e grazie a delle discutibili sottrazioni di prove, è risultato credibile. Lui che non ha cambiato un solo pannolino e che non ha curato neanche un raffreddore. Che non ha mai fatto una telefonata per dire buonanotte. Lui che è nullatenente per non mandare il mantenimento. Io che sono amorevole, presente e solida, vado invece punita. Punita perché nel 2015 non si può crescere un bambino felice se il patriarca non è d’accordo.

Nel 1994, anno della famiglia,  Giovanni Paolo II scrisse una lettera ai bambini per Natale. **“Nelle vicende del Bimbo di Betlemme potete riconoscere le sorti dei bambini di tutto il mondo. Se è vero che un bambino rappresenta la gioia non solo dei genitori, ma della Chiesa e dell'intera società, è vero pure che ai nostri tempi molti bambini, purtroppo, in varie parti del mondo soffrono e sono minacciati: patiscono la fame e la miseria, muoiono a causa delle malattie e della denutrizione, cadono vittime delle guerre, vengono abbandonati dai genitori e condannati a rimanere senza casa, privi del calore di una propria famiglia, subiscono molte forme di violenza e di prepotenza da parte degli adulti. Come è possibile rimanere indifferenti di fronte alla sofferenza di tanti bambini, specialmente quando è causata in qualche modo dagli adulti? […] Proprio meditando su questi fatti, che colmano di dolore i nostri cuori, ho deciso di chiedere a voi, cari bambini e ragazzi, di farvi carico della preghiera per la pace. Lo sapete bene: l'amore e la concordia costruiscono la pace, l'odio e la violenza la distruggono. Voi rifuggite istintivamente dall'odio e siete attratti dall'amore: per questo il Papa è certo che non respingerete la sua richiesta, ma vi unirete alla sua preghiera per la pace nel mondo con lo stesso slancio con cui pregate per la pace e la concordia nelle vostre famiglie.”** 
Caro Gesù bambino, prega per tutti i bambini che non hanno il diritto di rimanere a casa propria, per tutte le mamme ed i padri amorevoli che si trovano impossibilitati a tutelare le proprie creature. Prega il mio Franceschino, dagli la forza di resistere agli assalti di suo padre e della nostra vigliacca società cosiddetta civile. Tieni nel tuo cuore le sorti dei tanti, tantissimi bambini che sono vittima di questa guerra silenziosa e terribile che non suscita la compassione dei nostri concittadini perché no, non passa al notiziario delle 20.00. Ancora oggi sessanta milioni di italiani sono fortemente convinti che non sia possibile allontanare un bambino dalla madre, a meno che lei non sia effettivamente pericolosa per lui. Ma purtroppo si sbagliano.

Una mamma per sempre.


sabato 21 novembre 2015

Vassallo e il dito contro vittime di violenza: no grazie, ce ne sono già a sufficienza

"Perché non hai detto qualcosa”, mi hanno chiesto, preoccupati e confusi. “Avremmo potuto aiutarti. Avremmo potuto fare qualcosa!” Ci credo. Se avessero saputo quanto orribile la mia vita era diventata, non ho dubbi che avrebbero fatto del loro meglio per aiutarmi. Ma tutto questo è successo più di vent’anni fa. Oggi sono guarita, emotivamente sana, ne sono definitivamente uscita, e col senno di poi è facile vedere con chiarezza che i miei amici e la famiglia mi avrebbero aiutato. Ma allora non era così. Perché quando sei nel bel mezzo delle cose, nel bel mezzo di un inferno del quale sei convinta di essere responsabile, non puoi vedere nulla in modo chiaro. La paura e la vergogna ti consumano: sono costantemente al tuo fianco. E quando guardi la tua famiglia e gli amici, li immagini mentre ti giudicano e ti deridono. Perché conosci le loro opinioni sulle donne coinvolte in relazioni violenteQuella che avete appena letto è la testimonianza di una donna che ha subito violenza tratta dal blog Ricciocorno Schiattoso

Come tante donne e uomini, ieri ho espresso forti critiche alla riflessione di Nicla Vassallo pubblicata il 18 novembre scorso e intitolata “Sulla violenza contro le donne meglio dubitare”. Le proteste si sono levate sul web contro un post che in soldoni giudica le donne che subiscono violenza. 
Quel  dito puntato crea uno spartiacque tra me e te, tra un noi e voi. Donne consapevoli e donne inconsapevoli. Ma ci servono i giudizi? Negli anni in cui ho incontrato le donne che rivelavano quotidiane violenze, ho imparato ad espellere il giudizio come fosse una mela avvelenata. La riflessione di Vassallo non dona alcun apporto fecondo al problema, banalizza in maniera disarmante e soprattutto tratteggia la figura della donna vittima di violenza sulla base di stereotipi. La violenza sessista evapora ove un’abile manipolazione confonde le responsabilità anche giudicando le vittime. Abbiamo tanti di quei diti puntati da non averne bisogno di altri.

Le donne sono "conniventi", "istigano", sono "ambivalenti" e via con le interpretazioni che fanno perdere di vista la realtà e quella disparità con gli uomini che si regge su una stratificata struttura di potere economico e sociale. 
Lottiamo ancora oggi contro queste opinioni e a volte inciampiamo ancora (ancora?) nella spiegazione del problema come rapporto vittima carnefice. 
Fin dal momento in cui nascono, uomini e donne sono soggetti a differenti destini, indotti con le buone o con le cattive ad aderire alla costruzione sociale del genere nella logica del mantenimento di prestabiliti rapporti gerarchici. Non si può distogliere l’attenzione dal sistema che mantiene in essere  le relazioni di dominio e potere, eppoi mettere sullo stesso piano chi agisce violenze (o trova vantaggio dalle discriminazioni) con chi  tali violenze o discriminazioni subisce.
Grazie alle testimonianze delle donne  abbiamo scoperto da un bel pezzo la connivenza tra famiglia, società, istituzioni e violenza. Se volgiamo uno sguardo sul piano di realtà è vero che la Convenzione di Istanbul è legge, eppure ancora oggi ci sono casi di rimozione della violenza che avviene non solo  nelle donne, nella società e nelle famiglie ma nelle sentenze o nei provvedimenti dei tribunali, nelle relazioni degli assistenti sociali, nella narrazione che viene fatta della violenza contro le donne. 
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una pericolosa tendenza che ha distorto i percorsi volti a restituire forza alle vittime per volgerli contro di esse; per creare nuove forme tutela e di controllo e senza che si agisse adeguatamente per bloccare i comportamenti violenti. 
La reazione contro la libertà delle donne è forte perché la posta in gioco è alta.
Le donne debbono fare la loro parte ed essere coscienti della loro adesione ad una cultura che le subordina e le vittimizza. Si, è vero e chi lo nega? Questa osservazione fatta dalla Vassallo mi pare sinceramente la scoperta  dell'acqua calda. 
Monica Lanfranco, in Letteralmente femminista, ha scritto qualche anno fa che si dimentica, o si tace consapevolmente, di dire che la libertà delle donne è scomoda, imprevista e mal vista, per motivi diversi sia dagli uomini che dalle donne stesse, combattuta sempre e nemica del successo e della coabitazione con il potere; a meno che non si tratti di libertà ceduta per cooptazione, per contratto a termine e in subordine alle regole da rispettare nei luoghi e nei ruoli che contano, senza metterli in discussione.
@nadiesdaa

venerdì 6 novembre 2015

#7N Un ponte tra sorelle in marcha contra las violencias machistas

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Sabato 7 novembre 2015: a Madrid le donne spagnole parteciperanno alla Marcha Estatal contra las violencias machistas e occuperanno strade e piazze in quello è stato già battezzato il movimento del 7 novembre. Le femministe spagnole sono riuscite a superare  le barriere ideologiche che le dividevano e a porre l'interesse per i diritti delle donne al di sopra di tutto. Unite e compatte porteranno la loro protesta nelle strade di Madrid. La mobilitazione nazionale è molto forte tantoché  l'assessorato alle pari opportunità del  comune di Villa-Real, sulla costa spagnola vicino Valencia, ha messo a disposizione  pullman gratituitamente per partecipare alla marcia di domani. Non è la prima volta che le donne spagnole si mobilitano in massa. Il 1° febbraio del 2014 parteciparono in  migliaia alla manifestazione Porque yo decido spostandosi sui treni per protestare contro il progetto di legge del ministro della Giustizia Alberto Ruiz Gallardón, che intendeva vietare l’aborto come libera decisione della donna, limitandone il ricorso ai casi di violenza sessuale o di grave rischio per la salute della donna.
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Sulla pagina Fb del gruppo Noi non ci stiamo! (al quale ho aderito) Simona Sforza ha scritto, riguardo a domani, che:  "la mobilitazione spagnola e tutte le altre che vi hanno aderito e che solidarizzano a distanza sono la dimostrazione che manifestare è ancora una modalità fondamentale di lotta e per rendere visibili i problemi e le istanze hanno capito che non c'è più tempo da perdere, si sono mobilitati tutti e tutte.. oltre gli steccati e le appartenenze. Sono un faro per tutte noi!".


In Italia proprio il gruppo Noi non ci stiamo!   sta mantenendo i contatti con le donne spagnole ed oggi  ha pubblicato una lunga lettera nella quale si rivolge alle madrilene e  scrive: vi siamo grate per il vostro lavoro, per i messaggi di coraggio e di forza che state lanciando con il movimento del 7 novembre. L'invito a manifestare è giunto forte anche in Italia, dove la situazione, circa le molteplici forme di violenza a cui le donne sono soggette, è molto grave. Abbiamo lanciato anche noi un appello, un moto emozionale per proporre un tavolo di lavoro comune, per riuscire a materializzare anche da noi qualcosa di simile a ciò che siete riuscite proficuamente a realizzare in Spagna. Un esperimento di politica delle donne, per tornare a rendersi visibili, incidere in modo adeguato alle circostanze, fare pressione sui luoghi decisionali, sul Governo in primis. In tante abbiamo voluto credere che potesse nascere qualcosa di indipendente, spontaneo, autonomo. Abbiamo tentato di coinvolgere le varie componenti dei gruppi/associazioni femminili e femministe italiane, su un progetto che portasse le donne italiane a collaborare a un testo, a una piattaforma che ragionasse sulla situazione italiana e rivendicasse gli interventi più urgenti. Portare le donne italiane nuovamente in piazza, sarebbe stato solo il punto finale di un lavoro condiviso e di una modalità operativa utile anche per il futuro. Non siamo riuscite a coagulare il desiderio di manifestare esplicitamente, tutte insieme, la nostra insofferenza per una situazione che per noi donne italiane ha gravissimi punti di sofferenza, visto che la violenza machista si esprime in molteplici modi. Ringraziamo quante hanno condiviso questo sogno, ma la realtà italiana non è quella spagnola.
L'Italia non è la Spagna, non lo è per le note positive. Nel nostro Paese non c'è, al momento, un  movimento femminista compatto e vitale ma molti gruppi femministi divisi  da innumerevoli steccati rispecchiando  un dna tutto italiano.  Purtroppo assomigliamo di più alla Spagna per le politiche di attacco alla libertà delle donne. Le politiche conservatrici del governo di destra  Rajoi hanno minato il diritto all'autodeterminazione delle donne, cercando di limitare la legge sull'interruzione volontaria di gravidanza (ma hanno trovato la ferma opposizione delle spagnole); in Italia il governo Renzi non muove un dito per risolvere la questione dell'obiezione di coscienza che ormai riguarda oltre il 70% dei ginecologi che operano nelle strutture pubbliche. La ministra alla sanità Beatrice Lorenzin adottando la strategia del muro di gomma continua a sostenere che va tutto bene e a dispetto di quanto denunciato dai ginecologi della Laiga, continua a firmare  rapporti ministeriali dove si sostiene che l'obiezione di coscienza non ostacola le donne italiane che scelgono di abortire. Ma i dati dicono ben altro.
Le scelte politiche dei governi italiano e spagnolo sono affini purtroppo anche per gli interventi sul tema della violenza contro le donne. In Spagna Rajoi ha agito in maniera più diretta ed  ha tagliato i fondi per gli interventi a sostegno delle donne maltrattate mentre in Italia il governo si è mosso in maniera più subdola confermando quella schizofrenia tra proclami demagogici e attuazione di politiche di contrasto al femminicidio. I pochi fondi che erano stati stanziati con la legge sul femminicidio   sono andati dispersi in mille rivoli: distribuiti senza definire alcun  criterio qualitativo   sono stati inghiottiti da logiche clientelari e finiti nella mani di associazioni che non si erano mai occupate specificamente di violenza. Intanto ai  centri anti-violenza sempre più in affanno sono andate sole le briciole.
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Domani si manifesterà a Bristol, Londra, Parigi, Stoccarda, Vienna, Strasburgo, Dublino.
A Milano l'appuntamento è alle 15.30, in Piazza Cordusio,  angolo via dei Mercanti. La manifestazione a Milano verrà  rilanciata anche domani su Radio Onda D'Urto di Brescia.
@nadiesdaa
Pubblicato anche su Il porto delle nuvole

domenica 6 settembre 2015

Quanto costa? niente, magari un sorriso. Re-use for good, i negozi gratis

Esiste a Bologna un negozio in cui persone in difficoltà economiche possono acquistare abiti, scarpe e accessori vari, oltre a libri e giocattoli, a costo zero; alla cassa è gradito magari un sorriso.

Si trova in via Savenella (in Santo Stefano), ed è una boutique solidale destinata alle famiglie del quartiere Santo Stefano che attraversino un periodo di difficoltà, individuate dai Servizi Sociali e dagli Ospedali di Bologna. Queste possono accedervi per fare i loro acquisti come in un normale negozio, ma gratuitamente, o a fronte di donazioni simboliche o volontarie.
Come è possibile? Grazie alla generosità delle volontarie e dei volontari, e di tanti che di quegli oggetti non hanno più bisogno. E, considerato che in ogni casa ci sono montagne di cose che dispiace buttare, ma effettivamente inutilizzate, si capisce come non sarebbe difficile procurarsi i beni necessari a diffondere "negozi" così anche altrove; infatti già altri ne sono sorti in diverse città, per esempio a Modena e a Bolzano.
Re-use with love, l'associazione che l'ha realizzato, mette al centro della propria attività il recupero e il riutilizzo consapevole a scopo benefico, nonché l’educazione dei bambini e dei ragazzi volontari sul tema del riuso e la sensibilizzazione alla solidarietà sociale. Un'associazione (come spesso succede) alquanto al femminile: presieduta da Veronica Veronesi, le altre componenti del Consiglio direttivo sono Leopolda Sassoli de’ Bianchi, Francesca Terzi, Costanza Filicori, Monica Magli, Letizia Mazzanti e Carlotta Serrazanetti.
Il nome Re-Use for Good allude al concetto di riutilizzare un bene, ma anche al suo riutilizzo a fin di bene. Il progetto è stato realizzato grazie alla vincita di un  bando del Comune di Bologna – Cittadinanza Attiva per l’assegnazione di un immobile in disuso, diventato ora sede operativa dell’Associazione di volontari e del negozio.

domenica 23 agosto 2015

Violenza e femminicidio a Reggiolo: la vera notizia

Già condannato per gravi maltrattamenti all’ex compagna, in un paese della bassa reggiana un tizio ottiene (e perché poi?) i domiciliari, e va a goderseli a casa di una nuova compagna, anzi, della nuova moglie. 
Con questa riprende, allegramente e immediatamente, le care, tradizionali e vecchie abitudini: a 1 solo mese dal matrimonio l'innamorato neo-sposo l'ha pestata così tanto, addirittura frustandola, che la poveraccia ha perso i sensi. Spaventato, il caro marito si è dovuto decidere a chiamare lui stesso il 118. Ne è seguita una nuova denuncia, per cui il Magistrato di sorveglianza di Reggio Emilia ha revocato la detenzione domiciliare e l’uomo è stato riportato in carcere. Ora chiediamo che ci resti e che la donna che non gli è morta fra le mani sia protetta.
Piace constatare, per l'ennesima volta, che l'articolo che ne parla ci informi che il pestatore seriale (definito "il sessantenne") si è fatto prendere la mano probabilmente a causa di una forte gelosia incontrollabile.
E non, invece, a causa di una mentalità esecrabile e tollerata, per cui un uomo si ritiene padrone di una donna. E sfoga le sue frustrazioni e la propria violenza contro di lei come su un pungiball.

Per la stessa ragione, la vera notizia è che, come sempre, gli uomini violenti possono tranquillamente continuare a fare quello che gli pare finché non ci scappa la morta. E che la stampa, incapace di fare il proprio mestiere in modo consapevole e responsabile, ove non sorvola annoiata continua ad alimentare una visione delle cose che costituisce l'humus stesso in cui violenza e femminicidio affondano forti radici e continuano a prosperare.

domenica 28 giugno 2015

Antonietta non aveva taciuto, non era stata ascoltata

ll 26 giugno Repubblica ha pubblicato  un articolo firmato da Vera Schiavazzi,  poi ripreso anche da Huffington Post, intitolato: Picchiata dal marito, ha taciuto fino alla morte che presenta inesattezze e (tanto per cambiare) cliché che non contribuiscono alla corretta informazione sul tema della violenza contro le donne. Ne ha scritto anche il blog Ricciocorno.
Il problema è noto da anni e riguarda  stereotipi e pregiudizi che si ripetono sulla stampa  nei casi di violenza, in assenza di una analisi approfondita del fenomeno. Uno schema  molto diffuso è quello delle lodi sul  coraggio delle donne che denunciano e lo stigma per quelle che tacciono, come avviene in  questo articolo che sposta tutta l’attenzione del lettore sul silenzio  di  Antonietta,  pagato con la malattia e la morte. La violenza esce di scena e lascia il posto al  silenzio della vittima.  I pregiudizi sono talmente forti che prevalgono  sulla verità e nonostante Antonietta avesse in realtà rivelato le violenze, come poi si legge nell’articolo, la giornalista  indulge accogliendo senza alcun commento critico, la testimonianza di un cugino  sulla mancanza di ribellione della vittima.
La realtà delle donne che subiscono violenza è più complessa. La rivelazione della violenza   non dipende banalmente dal  coraggio ma da tutta una serie di valutazioni che fanno le vittime. Quante chance ho  di superare tutte le difficoltà e di separarmi?  Sarò creduta? Come vivrò senza reddito? Mi posso fidare delle istituzioni? Mi toglieranno i figli? Proteggeranno me è i bambini o ci ucciderà? Sono queste le domande  ma incontrano risposte? Altri fattori che possono rimandare  nel tempo la denuncia o lo svelamento, dipendono dalle conseguenze fisiche o psicologiche della violenza che sono variabili  da donna a donna. La cosa sorprendente  è che in questo articolo leggiamo che  Antonietta aveva chiesto aiuto ma si era sentita rispondere  che “aveva due figli e che doveva sopportare” e addirittura era andata dai carabinieri dopo aver  registrato le ingiurie del marito ma che “quella sera non aveva un livido addosso, e senza livido non c’è violenza”. Non so se questa sia stata davvero la risposta dei carabinieri ci si augura di no,  perché si tratterebbe di una cosa grave. Da quando il maltrattamento psicologico e gli insulti non costituiscono un  reato? Perché la giornalista non lo chiarisce? Il maltrattamento che sia fisico o psicologico è un reato!   E’ compito della polizia giudiziaria approfondire, fare le domande giuste, ascoltare con attenzione e raccogliere con la collaborazione della vittima, tutti gli elementi per istruire il processo, come le dichiarazioni di testimoni delle violenze o di quelli che hanno accolto le confidenze della vittima, referti del pronto soccorso, ricoveri ospedalieri conseguenti alle violenze. Non possiamo più  sapere quanti  tentativi avrà fatto Antonietta per uscire da quell’inferno ma restituiamole la verità, aveva raccontato a più persone il suo inferno,  aveva   registrato le ingiurie del marito, era andata dai carabinieri per denunciare. 
Non aveva taciuto, non era stata ascoltata.
@Nadiesdaa

venerdì 15 maggio 2015

Mailbombing contro Che Tempo fa per la trasmissione andata in onda il 10 maggio

Domenica scorsa a Che Tempo Fa, la soubrette Michelle Hunziker ha fatto propaganda alla proposta di legge di iniziativa popolare dell’onorevole Giulia Bongiorno che prevede il carcere per il genitore che “aliena i bambini del partner” ovvero per chi causa la Pas nei figli. L’avvocata di Doppia difesa chiede quindi una pena detentiva per un reato inesistente. La  Pas non solo non è un reato ma non è nemmeno riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale e non è stata mai inserita nel DSM-V.Per approfondimenti potete aprire il link all’articolo di Luisa Betti che trovate nel testo della lettera che riporto in calce al post.
La Pas teorizzata da Richard Gardner, uno psichiatra americano morto suicida nel 2003,  è una sindrome che colpirebbe bambini e bambine a causa di genitori (ma Gardner si riferiva soprattutto alle madri)  che ne ostacolerebbero la relazione con l’altro genitore. Questa sindrome è stata  adoperata per anni nei tribunali, come una sorta di “malleus maleficarum” contro le donne che intendevano tutelare i figli da abusi o allontanarsi da partner violenti e che sono state rivitimizzate e  accusate di alienazione genitoriale senza che fosse svolto alcun approfondimento o verifica dei motivi che avevano indotto un bambino a rifiutare il padre. La peculiarità della teoria della Pas è proprio quelladi escludere che  un genitore rifiutato dal figlio abbia qualche responsabilitàche sarebbe invece da ricercare nella malevolenza del genitore “alienante”. Una teoria pericolosa per i bambini e le bambine vittime di abusi e violenza tantoché anche l’associazione nazionale D.i.Re donne in Rete contro la violenza si è espressa più volte perché non fosse accolta nelle perizie forensi.
Nell’onda del backlash che ha colpito nell’ultimo decennio i diritti delle donne, la Pas è stata  strumentale per  chiudere la bocca di quelle che denunciavano violenze. Contestata e messa al bando dalla comunità scientifica,  la Pas  resiste più come una ideologia e ancora oggi la troviamo  adoperata, malamente mascherata con altre definizioni, nelle perizie di alcuni CTU o CTP nelle cause di affidamento dei figli/e.  Forse è proprio  perchè la Pas ha perso terreno che la Bongiorno si sta adoperando (cui prodest?)  a resuscitare questo Frankenstein della psichiatria e delle discipline  forensi con la “scarica elettrica” delle reazioni della pancia popolare . Una trasmissione del servizio pubblico, però, dovrebbe distinguere tra informazione e propaganda e non prestarsi a servire  iniziative volte sole a solleticare le viscere con la distribuzione di forca e disinformazione.
Dopo la trasmissione, la rete si è mobilitata (qua una lettera della blogger Ricciocorno e di Maria Serenella Pignotti) e Luisa Betti che per anni ha svolto una informazione sui danni della Pas, ha promosso  una mailbombing contro gli autori di Che Tempo fa, il conduttore Fabio Fazio e Doppia difesa.
Lorenzo Gasparrini, attivista e blogger sul tema della parità di genere ha pubblicato la lettera da lui inviata che potete copiare e inviare per la vostra mail per il mailbombing a:
raitre.chetempochefa@rai.it, chefuoritempochefa@rai.it, info@doppiadifesa.it, segreteria@doppiadifesa.it  • ed ecco il testo:
Spett. “Che tempo che fa” e “Doppia difesa”,
quanto successo domenica 10 maggio scorsa, e raccontato nei particolari da questo articolo di Luisa Betti: http://bettirossa.com/2015/05/13/hunzinker-e-bongiorno-chiedono-il-carcere-per-chi-si-macchia-di-un-reato-inesistente/
è davvero imbarazzante e vergognoso.
Vedere avallato da una trasmissione televisiva popolare (nella quale la responsabilità di conduttore e autori, anche se palesemente ignoranti del tema in oggetto, non è scusabile in nessun modo) una tale mostruosità non fa che convincermi sempre di più che una battaglia civile sui temi dei femminismi, degli studi di genere, della parità di genere, contro le ignoranze e le ipocrisie di un paese arretrato come pochi al mondo su questi temi è sempre più necessaria – com’è necessario protestare in occasioni come questa.
La complicità, anche se involontaria, con una informazione scorretta non è più scusabile in nessun modo. Le informazioni ci sono, le competenze pure: chi si occupa di programmi televisivi di massa dovrebbe avere – non per legge, ma per propria etica professionale – molti più scrupoli prima di offrire microfono e telecamere a chi rappresenta, sul tema, solo una fazione i cui argomenti sono sconfessati addirittura dalla Cassazione (come si può leggere nell’articolo linkato sopra). Se vi serve sapere come una fazione arrivi ad avere dalla sua parte una proposta di legge e un programma televisivo, non mancano certo le conoscenze per spiegarlo. Basta avere, ripeto, lo scrupolo professionale di interrogarle. E’ paradossale che in un periodo nel quale qualunque chiacchierone pretende su media – ed è accontentato! – un “contraddittorio”, proprio su un argomento così complesso e doloroso si sia lasciata mano libera a una sola delle parti.
Non credo nella malafede – essa va provata, non la si denuncia a vuoto. Credo più nell’ignoranza e nella superficialità, che ne sono certamente i prodromi, ma che non sono reati. Sono solo l’ennesima dimostrazione che nella comunicazione pubblica la competenza e la conoscenza dei fatti su cui basare gli argomenti non sono richieste. La gravità di quanto accaduto sta qui: quello che è andato in onda non è stato presentato come un mero spettacolo propagandistico – ciò che nei fatti è stato – ma come informazione. E non lo è stata.
Milioni di persone che hanno assistito alla trasmissione – prive di competenza  tra l’altro neanche particolarmente specifica – hanno assimilato concetti, spiegazioni e costruzioni sociali del tutto discutibili nel merito. Trovo tutto ciò gravissimo, tenendo conto che si parlava anche di vite di minori.
Ciò che vorrete fare in proposito – anche se non farete assolutamente niente – testimonierà della vostra buona fede e della vostra etica professionale.
«Quello che infatti succede in Italia, e che forse non tutti sanno incluso Fabio Fazio, è che sempre più spesso donne che denunciano violenza domestica e hanno i figli che non vogliono vedere il padre proprio perché vittime di violenza assistita o subita, si ritrovano accusate di alienare questi minori grazie alla Pas che serve a dimostrare che la violenza non c’è e che è in realtà si tratta di una falsa accusa in quanto è la madre che mette contro la prole nei riguardi del padre, e questo senza neanche ascoltare le ragioni del minore: una situazione che questa legge aggraverebbe mandando queste donne anche in prigione.»
Vi invito ad aderire all’iniziativa
@Nadiesdaa

domenica 10 maggio 2015

La Mater in mostra, la mamma e le altri madri

Nel giorno della Festa della Mamma è il momento giusto per ricordarvi che, ancora fino al 28 giugno, potrete visitare la mostra Mater, a Parma, dedicata ai percorsi simbolici nella maternità. Ma oggi alle 18 per andarci c'è una ragione in più: l'incontro con Michela Murgia e con il suo toccante monologo Altre Madri.


Seguito da auguri e brindisi con il "Circolo Culturale Sardo Grazia Deledda" di Parma. 


giovedì 7 maggio 2015

Piano nazionale antiviolenza sulle donne: indietro tutta!

Piano nazionale antiviolenza sulle donne: indietro tutta!

Lo abbiamo atteso a lungo un piano nazionale contro la violenza alle donne, lo abbiamo sollecitato per oltre un anno. Nel dicembre del 2014, abbiamo accolto con scoramento l’annuncio delleconsultazioni online: un’operazione demagogica e di “marketing” a vantaggio del governo Renzi che l’ha spacciata per democrazia tra i suoi elettori  e le sue elettrici per  convocare nei mesi seguenti, le associazioni che si occupano di violenza contro le donne  ma solo per  sottoporre alla loro attenzione la bozza del Piano e chiedere il gentile consenso. Ieri  Udi, D.i.Re, Telefono Rosa, Fondazione Pangea e Maschile Plurale hanno bocciato il Piano e in comunicato stampa e criticato il governo per aver “perso l’occasione storica di combattere con  azioni specifiche, coordinate e efficaci la violenza maschile contro le donne  attraverso un Piano che affronti le esigenze tassative poste dalla Convenzione di Istanbul per proteggere, prevenire e combattere la violenza maschile”. Oggi Giovanna Martelli ne ha presentato pubblicamente il testo contraddittorio e incongruente persino nella parte che affronta il problema della discriminazione del linguaggio perché non c’è la declinazione al femminile quando si parla di donne.

Fra la premessa e gli obiettivi condivisibili e la descrizione delle azioni da intraprendere esiste un gap fatto di percorsi delle donne fortemente istituzionalizzati,accentramento nelle mani del governo delle azioni politiche da svolgere per contrastare la violenza contro le donne, neutralizzazione delle specificità deicentri antiviolenza omologati a qualunque altro servizio e ridotti al ruolo “tecnico”. I finanziamenti sono esigui per i progetti di accoglienza e sostegno per le donne vittime di violenza e ci sono grandi dubbi sulla effettiva operatività per la parte che riguarda la conduzione delle azioni da intraprendere. Il Piano delinea un sistema di governance caotico e pone rilevanti problemi giuridici a livello locale col rischio che nelle città metropolitane e nelle Province si convochino più tavoli con gli stessi soggetti istituzionali causando una sovrapposizione di reti. L’impostazione è complessivamente di tipo sanitario-securitario con le donne viste come soggetti da “prendere in carico” (si donne questo è il linguaggio del Piano) in palese contraddizione con le premesse che parlano della necessità di empowerment. Il governo non si è ancora reso conto che non è sufficiente che una donna si rivolga al pronto soccorso o sporga denuncia per uscire dalla violenza e tantomeno che trovi un  lavoro. C’è bisogno di luoghi che accolgano le donne e le accompagnino nel difficile percorso di uscita dalla violenza partendo dalla rafforzamento della loro autodeterminazione e delle loro scelte. Ma nello scorrere le pagine pare di avvitare una vite spanata che non fisserà mai nulla.

Eppoi c’è il tasto dolente che riguarda l’istituzione della Banca dati. Il governo non ha nemmeno preso in considerazione il lavoro che era stato svolto sui tavoli  della Task Force nell’autunno nel 2013. Allora era stata prevista la realizzazione di un protocollo di intesa con l’Istat che avrebbe svolto in sinergia con i centri antiviolenza, l’importante e delicato ruolo  di regia per la raccolta dati dai diversi soggetti che incontrano donne che subiscono violenza.Nulla di fatto! I dati saranno raccolti dai centri antiviolenza e da altri soggetti con il rischio di sovrapposizioni. Il Piano ammette che le fonti di carattere istituzionale non sono sempre idonee a cogliere il fenomeno nella sua completezza, parla di i gap informativi e diinsufficienza della modulistica ecc. ma intanto rende marginale il ruolo dell’Istat e con l’auspicio di passare (prima o poi) dall’attuale situazione di accumulo di dati derivanti da più fonti ad uno strumento conoscitivo contestualizzato  procederà alla raccolta di questo “flusso” di dati che sarà appaltato a privati (o yes all’appalto!). La previsione di spesa? Duemilioni di euro mentre la ricerca dell’Istat sulla violenza contro le donne era costata 400mila euro. Con questa decisione – ha commentato  Titti Carrano, presidente D.i.Re – viene meno il progetto di rendere obbligatoria e continua una ricerca sulla violenza di genere e senza una descrizione quantitativa e qualitativa del fenomeno non è pensabile, né verificabile, alcuna politica di prevenzione e di contrasto”.
Con un parlamento che non ha mai visto una percentuale di deputate e forse pure di ministre così alta nella storia del nostro Paese, stiamo per avere un deja vu,  perché il governo  farà con la violenza contro le donne ciò che venne fatto con i consultori, quei luoghi che erano stati importanti per la salute e i percorsi di autodeterminazione delle donne, assorbiti masticati e digeriti e che oggi sono solo una bella storia del passato.

L’obiettivo dei centri antiviolenza oggi è resistere!

sabato 28 marzo 2015

Isis e le sopravvissute alla furia jihadista: incontro con le donne

Sono partita quasi all’improvviso, perché ho deciso all’ultimo. L’ansia, la paura, lasciare a casa una preoccupatissima figlia, erano l’ostacolo al viaggio. Ma il viaggio era di quelli che nella vita ti potrebbero capitare una sola volta, e non andare proprio non si può... Sono le parole con cui Anarkikka, artista e illustratrice, racconta il suo viaggio con la delegazione internazionale che, dal 15 al 22 marzo, ha incontrato le donne nei territori del Kurdistan iracheno e in Rojava. 

(di Anarkikka)
Una delegazione di sole donne, tredici in tutto, che hanno visitato i campi governativi e non governativi che accolgono le vittime delle feroci violenze dell’Isis per ascoltare i bisogni e le necessità delle sopravvissute, fuggite o scampate alla guerra. Le testimonianze raccolte hanno confermato la brutalità dei crimini commessi da Isis che usa il femminicidio, nelle forme più volte denunciate dai media internazionali, come parte integrante delle tattiche di annientamento delle popolazioni colpite.
La delegazione organizzata dalla Iadl (Associazione Internazionale Avvocati Democratici) in collaborazione con Aed_Edl (European Democratic Lawyers) ed Eldh (European Association of Lawyers for Democracy and Wordl Human Rights) presenterà un rapporto alle Nazioni Unite, durante la 29ma sessione del Consiglio dei Diritti Umani che si svolgerà a giugno a Ginevra e Anarkikka illustrerà il viaggio con delle tavole. 
Ma c’è un altro importante appuntamento, lunedì prossimo, a Padova: la delegazione di giuriste democratiche che si è recata nelle aree curde della Turchia, in Rojava e nel Kurdistan iracheno, incontrerà Rashida Manjoo, la Relatrice Speciale Onu contro la violenza sulle donne, per parlare delle violazioni dei diritti delle donne nel conflitto con Isis.
La delegazione intanto ha diffuso un comunicato in cui spiega che “serve con urgenza una maggiore attenzione alle esigenze specifiche di donne e bambine sopravvissute al conflitto con Isis. Tutti i campi dovrebbero ricevere dei fondi per garantire assistenza primaria a donne e bambini, non solo quelli dove ci sono presidi internazionali e gli Stati hanno l’obbligo di garantire una uguale distribuzione dei fondi e degli aiuti internazionali, per assicurare il soddisfacimento delle condizioni di vita elementari delle persone accolte in tutti i campi, e di provvedere a garantire un numero adeguato di personale e servizi di supporto specifici per le esigenze femminiliChi volesse conoscere il resoconto del viaggio può seguirlo sulla pagina Facebook Anarkikka e le altre:il viaggio in Rojava di tredici donne.