"Perché non hai detto qualcosa”, mi hanno chiesto, preoccupati e confusi. “Avremmo potuto
aiutarti. Avremmo potuto fare qualcosa!” Ci credo. Se avessero saputo quanto
orribile la mia vita era diventata, non ho dubbi che avrebbero fatto del loro
meglio per aiutarmi. Ma tutto questo è successo più di vent’anni fa. Oggi sono
guarita, emotivamente sana, ne sono definitivamente uscita, e col senno di poi
è facile vedere con chiarezza che i miei amici e la famiglia mi avrebbero
aiutato. Ma allora non era così. Perché quando sei nel bel mezzo delle cose, nel
bel mezzo di un inferno del quale sei convinta di essere responsabile, non puoi vedere nulla in modo chiaro. La paura e la vergogna ti
consumano: sono costantemente al tuo fianco. E quando guardi la tua famiglia e
gli amici, li immagini mentre ti giudicano e ti deridono. Perché conosci le
loro opinioni sulle donne coinvolte in relazioni violente. Quella che avete appena letto è
la testimonianza di una donna che ha subito violenza tratta dal blog Ricciocorno Schiattoso.
Come tante donne e uomini, ieri ho espresso forti critiche alla riflessione di Nicla Vassallo pubblicata il 18 novembre scorso e intitolata “Sulla violenza contro le donne meglio dubitare”. Le proteste si sono levate sul web contro un post che in soldoni giudica le donne che subiscono violenza.
Quel dito puntato crea uno spartiacque tra me e te, tra un noi e voi. Donne consapevoli e donne inconsapevoli. Ma ci servono i giudizi? Negli anni in cui ho incontrato le donne che rivelavano quotidiane violenze, ho imparato ad espellere il giudizio come fosse una mela avvelenata. La riflessione di Vassallo non dona alcun apporto fecondo al problema, banalizza in maniera disarmante e soprattutto tratteggia la figura della donna vittima di violenza sulla base di stereotipi. La violenza sessista evapora ove un’abile manipolazione confonde le responsabilità anche giudicando le vittime. Abbiamo tanti di quei diti puntati da non averne bisogno di altri.
Come tante donne e uomini, ieri ho espresso forti critiche alla riflessione di Nicla Vassallo pubblicata il 18 novembre scorso e intitolata “Sulla violenza contro le donne meglio dubitare”. Le proteste si sono levate sul web contro un post che in soldoni giudica le donne che subiscono violenza.
Quel dito puntato crea uno spartiacque tra me e te, tra un noi e voi. Donne consapevoli e donne inconsapevoli. Ma ci servono i giudizi? Negli anni in cui ho incontrato le donne che rivelavano quotidiane violenze, ho imparato ad espellere il giudizio come fosse una mela avvelenata. La riflessione di Vassallo non dona alcun apporto fecondo al problema, banalizza in maniera disarmante e soprattutto tratteggia la figura della donna vittima di violenza sulla base di stereotipi. La violenza sessista evapora ove un’abile manipolazione confonde le responsabilità anche giudicando le vittime. Abbiamo tanti di quei diti puntati da non averne bisogno di altri.
Le donne sono "conniventi", "istigano",
sono "ambivalenti" e via con le interpretazioni che fanno perdere di vista la
realtà e quella disparità con gli uomini che si regge su una stratificata
struttura di potere economico e sociale.
Lottiamo ancora oggi contro queste opinioni e
a volte inciampiamo ancora (ancora?) nella spiegazione del problema come rapporto
vittima carnefice.
Fin dal momento in cui nascono, uomini e donne sono soggetti a differenti destini, indotti con le buone o con le cattive ad aderire alla costruzione sociale del genere nella logica del mantenimento di prestabiliti rapporti gerarchici. Non si può distogliere l’attenzione dal sistema che mantiene in essere
le relazioni di dominio e potere, eppoi mettere sullo stesso piano chi agisce violenze (o trova vantaggio dalle discriminazioni) con chi tali violenze o discriminazioni subisce.
Grazie alle testimonianze delle donne abbiamo scoperto da un bel pezzo la
connivenza tra famiglia, società, istituzioni e violenza. Se volgiamo uno sguardo sul piano di realtà è vero che la Convenzione di
Istanbul è legge, eppure ancora oggi ci sono casi di rimozione della violenza che
avviene non solo nelle donne, nella società e nelle famiglie ma nelle sentenze o nei provvedimenti dei tribunali, nelle relazioni
degli assistenti sociali, nella narrazione che viene fatta della violenza contro le donne.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una pericolosa tendenza che ha distorto i percorsi volti a restituire forza alle vittime per volgerli contro di esse; per creare nuove forme tutela e di controllo e senza che si agisse adeguatamente per bloccare i comportamenti violenti.
La reazione contro la libertà delle donne è forte perché la posta in gioco è alta.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una pericolosa tendenza che ha distorto i percorsi volti a restituire forza alle vittime per volgerli contro di esse; per creare nuove forme tutela e di controllo e senza che si agisse adeguatamente per bloccare i comportamenti violenti.
La reazione contro la libertà delle donne è forte perché la posta in gioco è alta.
Le donne debbono fare la loro parte ed essere
coscienti della loro adesione ad una cultura che le subordina e le vittimizza. Si, è vero e chi lo nega? Questa osservazione fatta dalla Vassallo mi pare sinceramente la scoperta dell'acqua calda.
Monica Lanfranco, in Letteralmente femminista, ha scritto qualche anno fa che si dimentica,
o si tace consapevolmente, di dire che la libertà delle donne è scomoda,
imprevista e mal vista, per motivi diversi sia dagli uomini che dalle donne
stesse, combattuta sempre e nemica del successo e della coabitazione con il
potere; a meno che non si tratti di libertà ceduta per cooptazione, per
contratto a termine e in subordine alle regole da rispettare nei luoghi e nei ruoli
che contano, senza metterli in discussione.
@nadiesdaa