Nei giorni precedenti la formazione del governo, l’associazione nazionale D.i.Re aveva chiesto a Matteo Renzi di nominare una ministra alle politiche di genere; la richiesta di un ministero per le pari opportunità era stata avanzata anche da diverse associazioni e sul web era stato lanciato un appello firmato da oltre 50 associazioni.
Ma il ministero per le pari opportunità non è presente nell'esecutivo e non è stato assegnato come delega a qualche ministero. Questa scelta preoccupa. E molto, perchè in un momento attraversato da una profonda crisi politica, economica e culturale che ha penalizzato particolarmente le donne non si può prescindere da un ministero che si occupi nelo specifico dei problemi delle donne. La politica italiana sollecitata dai centri antiviolenza non si è mai assunta pienamente la responsabilità delle risposte perché non ha compreso la portata e il significato del fenomeno della violenza alle donne e le sue conseguenze sulla società. Il fenomeno del femminicidio può essere combattuto con programmi e impegni concreti da parte di tutti i ministeri e con un dicastero con finanziamenti sufficienti per coordinare tutte le politiche tese ad eliminare la discriminazione tra i generi. Studi e statistiche internazionali puntualmente rivelano che l’Italia è il fanalino di coda in Europa, quanto ad occupazione femminile e a parità salariale tra uomini e donne. Una recente indagine Istat sul capitale umano, ha rilevato che le donne hanno carriere più brevi e salari più bassi anche se producono più degli uomini quanto a lavoro di cura e casalingo. L’obiezione di coscienza alla 194 e una pessima legge sulla fecondazione assistita, la legge 40, hanno minato profondamente il diritto all’autodeterminazione delle donne e il loro diritto alla salute, e sono state espressione di scelte ideologiche oscurantiste che vogliono controllare il corpo delle donne. La rappresentazione della figura femminile nei media, nella pubblicità come oggetto sessuale è stata la conseguenza del gender gap che ha sottratto alle donne diritti, dignità, opportunità e libertà. Dal 2000 al 2012 sono state uccise in Italia 2200 donne. Nel 2013 le state 128 rispettando la triste statistica di una donna uccisa ogni due o tre giorni. Rashida Manjoo special rapporteur dell’Onu sul problema della violenza alle donne, due anni fa, aveva ammonito l’Italia dicendo “In Italia resta un problema grave, risolverlo è un obbligo internazionale”. I centri della rete nazionale accolgono migliaia di donne l’anno e sono testimoni di quella dura corsa ad ostacoli che è ogni percorso di uscita dalla violenza: tra vittimizzazioni secondarie, richieste di aiuto inascoltate, incapacità di riconoscimento del problema nelle sedi istituzionali che dovrebbero essere in prima linea a sostenere le vittime. Per anni sono state denunciate le carenze e le inadeguatezze delle politiche di contrasto alla violenza contro le donne, e per anni è stato ripetuto che le risposte securitarie non sono sufficienti e non sono l’unica risposta contro il problema del femminicidio. I Centri antiviolenza hanno partecipato ai tavoli interministeriali avviati durante il Governo Letta per indicare quali interventi, strategie, politiche e progetti sono necessarie per sostenere le vittime, i loro figli e le loro figlie, quali azioni servono per prevenire la violenza sessista e quali risorse devono essere messe in gioco per attuare un cambiamento culturale. Non sappiamo oggi che cosa sarà dei contributi portati su quei tavoli frutto della nostra più che ventennale esperienza, né sappiamo se le nostre indicazioni saranno accolte. Siamo ancora in attesa del rinnovo del Piano Nazionale contro la violenza e non sappiamo se saranno previsti finanziamenti certi e costanti per i centri antiviolenza. In un clima di continue incertezze, evanescenze, slogan e proclami mai seguiti da azioni e da politiche efficaci, la scelta di Matteo Renzi di negare alle italiane un ministero per le politiche di genere o per le pari opportunità è inaccettabile. La nomina di un esecutivo diviso equamente tra ministri e ministre in un contesto come quello italiano, se non sarà seguito dall’attuazione di politiche efficaci si rivelerà una operazione demagogica e di facciata: le quote rosa non sono sufficienti. Le quota rosa a ben poco servono quando alle donne viene negata una piena partecipazione alla vita economica, culturale e politica del Paese. Queste pari opportunità ci paiono un privilegio delle donne dei Palazzi della politica che chiude le porte ai diritti e alle opportunità per le donne che ne sono fuori.
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