Servo lo Stato da 26 anni soltanto grazie a un prudente disincanto che mi permette ancora di sopravvivere tra le pieghe di quel medesimo nulla costituito per lo più da ingiustizie, bugie, miserie umane, silenzi, paure, sofferenze.
Oggi intendo rompere quel silenzio cui si è condannati quasi contrattualmente da regolamenti di servizio che impongono e mitizzano l’obbedire tacendo, perché le parole pronunciate dal Segretario nazionale del Sap all’esito della pronuncia di assoluzione non restino consegnate anch’esse al fenomeno di cui sopra.
Il diritto di parola consentito al Segretario nazionale del Sap [Gianni Tonelli, SAP sta per Sindacato Autonomo di Polizia, ndr] gli ha permesso di esprimere ”la piena soddisfazione per l’assoluzione di tutti gli imputati” con una disinvoltura che abitualmente può trovare applicazione esclusivamente in uno stadio, ove l’unica forma di dolore può derivare abitualmente da un goal mancato e non già dalla morte violenta di un giovane celebrata in un’aula di Giustizia.
“Bisogna finirla in questo Paese di scaricare sui servitori dello Stato la responsabilità dei singoli, di chi abusa di alcol e droghe, di chi vive al limite della legalità. Se uno ha disprezzo della condizione di salute, se uno conduce una vita dissoluta, ne paga le conseguenze”.
Queste parole, in un contesto democratico che ne apprezzasse il loro peso, sortirebbero reazioni, conseguenze, interrogativi e dibattiti sul loro senso, sull’utilità e gli effetti di questa allegra scampagnata lessicale sul dolore di una famiglia - nonché una minima inchiesta semantica sul concetto di vita dissoluta e al limite della legalità.
Sarebbe da attendersi dal Segretario la spiegazione su quanto realmente produca paura in questo Paese e se l’abuso di alcol e droghe sia causa di morte per lesioni e se vi sia qualcosa di più dissoluto di un diritto calpestato.
Sarebbe da attendersi dal Segretario la spiegazione su quanto realmente produca paura in questo Paese e se l’abuso di alcol e droghe sia causa di morte per lesioni e se vi sia qualcosa di più dissoluto di un diritto calpestato.
Andrebbe preteso che ci chiarisse se quelle parole siano rappresentative di tutto l’universo della Polizia o - invece - siano la personale interpretazione di un dramma, o la recensione di un abominio. E ancora gli andrebbe richiesto se il silenzio seguito alle sue parole sia l’indicatore di un Paese dove domina sul diritto l’incertezza, sulla complessità della vita l’omologazione, sui drammi umani l’assenza di indignazione e l’ignavia.
Perciò chiedo scusa alla famiglia Cucchi per questo oltraggio infinito; per questa deriva che non può rappresentare la totalità degli appartenenti alle forze di polizia. Neppure quelli a cui per regolamento è precluso il diritto di indignarsi e di affrancarsi dalla convivenza col divieto di opinione.
Nel dubbio, semplicemente nel dubbio.
Francesco Nicito, agente della Questura di Bologna
All'agente Francesco Nicito vanno (anche) i nostri ringraziamenti; la riconoscenza di tante persone offese, ma anche, non dubitiamo, l'approvazione di molti colleghi che non possono apprezzare l'immagine nefasta che certi arroccamenti, su posizioni indifendibili, causano a tutto il corpo della Polizia di Stato.
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