L’associazione nazionale D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza, ha ottenuto lo status consultivo nel Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC) e sarà iscritta all’anagrafe delle organizzazioni non governative dell’Onu.
Un nuovo impegno per le donne dei centri antiviolenza, che hanno accolto con gioia la notizia dell’ammissione della domanda fatta circa un anno fa. Il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite ha tra i suoi vari scopi quello di aiutare gli Stati a raggiungere accordi per promuove il rispetto e l’osservanza dei diritti umani universali e la difesa dei diritti delle donne.
I 67 centri antiviolenza che aderiscono a Donne in Rete sono un osservatorio privilegiato sul fenomeno della violenza maschile contro le donne. I Centri lavorano per sostenere le donne che subiscono violenza e verificano sul campo le difficoltà e gli ostacoli che le donne incontrano per conquistare autonomia, dignità e libertà. Il prestigioso riconoscimento ottenuto rafforzerà l’impegno dell’associazione nazionale D.i.Re per affermare i diritti delle donne e superare gli ostacoli che rallentano il processo di libertà delle donne nel nostro Paese. Intanto, in Italia le cose non vanno affatto come dovrebbero per i diritti delle donne e la parità tra i generi. Nello scorso mese di luglio D.i.Re insieme ad altre associazioni impegnate sul campo dei diritti delle donne, ha stilato una rilevazione quinquennale sul Rapporto sull’attuazione della Piattaforma d’Azione di Pechino, che denuncia lacune e arretratezze non rilevate nella relazione 'ufficiale' fatta dal Governo. Nell’ultimo quinquennio, l’Italia è stata richiamata più volte per la latitanza della politica in tema di uguaglianza e libertà delle donne. Le principali criticità sono: la carenza di un sistema di raccolta, analisi e diffusione di statistiche di genere, che potrebbe consentire il monitoraggio e la valutazione di politiche da attuare; l’elevato livello di povertà femminile soprattutto nelle famiglia monoparentali e il continuo impoverimento del welfare; l’insufficiente difesa della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi; il basso tasso di occupazione delle donne e la precarietà: condizione condivisa dalle giovani e delle over 40. Tra questi problemi non manca la questione della violenza maschile sulle donne in attesa di un complesso ed efficace sistema di contrasto e l’entrata in vigore della Convenzione di Istanbul.
Nel 1995 il Piano di Azione di Pechino indicava precisi obiettivi da realizzare; ma ancora oggi l’impegno dei governi italiani che si sono succeduti è stato solo formale e le risposte sono state di carattere demagogico ed emergenziale. Venti Regioni italiane hanno approvato leggi sulla violenza contro le donne spesso senza finanziamenti adeguati e, soprattutto, non è mai stata fatta chiarezza sulla definizione di Centro Antiviolenza, né sono mai stati definiti criteri per le caratteristiche dei servizi e degli interventi delle strutture che devono accogliere donne vittime di violenza e i loro figli. E ancora: le politiche di sistema sono un miraggio. E’ vero che è stata approvata la Convenzione di Istanbul ma senza un quadro articolato di misure in adempimento degli obblighi che sono derivati dalla ratifica, il trattato europeo rischia di restare lettera morta. A questo punto la differenza la potranno fare solo le donne dei movimenti e la politica che saranno in grado di fare.
I 67 centri antiviolenza che aderiscono a Donne in Rete sono un osservatorio privilegiato sul fenomeno della violenza maschile contro le donne. I Centri lavorano per sostenere le donne che subiscono violenza e verificano sul campo le difficoltà e gli ostacoli che le donne incontrano per conquistare autonomia, dignità e libertà. Il prestigioso riconoscimento ottenuto rafforzerà l’impegno dell’associazione nazionale D.i.Re per affermare i diritti delle donne e superare gli ostacoli che rallentano il processo di libertà delle donne nel nostro Paese. Intanto, in Italia le cose non vanno affatto come dovrebbero per i diritti delle donne e la parità tra i generi. Nello scorso mese di luglio D.i.Re insieme ad altre associazioni impegnate sul campo dei diritti delle donne, ha stilato una rilevazione quinquennale sul Rapporto sull’attuazione della Piattaforma d’Azione di Pechino, che denuncia lacune e arretratezze non rilevate nella relazione 'ufficiale' fatta dal Governo. Nell’ultimo quinquennio, l’Italia è stata richiamata più volte per la latitanza della politica in tema di uguaglianza e libertà delle donne. Le principali criticità sono: la carenza di un sistema di raccolta, analisi e diffusione di statistiche di genere, che potrebbe consentire il monitoraggio e la valutazione di politiche da attuare; l’elevato livello di povertà femminile soprattutto nelle famiglia monoparentali e il continuo impoverimento del welfare; l’insufficiente difesa della salute e dei diritti sessuali e riproduttivi; il basso tasso di occupazione delle donne e la precarietà: condizione condivisa dalle giovani e delle over 40. Tra questi problemi non manca la questione della violenza maschile sulle donne in attesa di un complesso ed efficace sistema di contrasto e l’entrata in vigore della Convenzione di Istanbul.
Nel 1995 il Piano di Azione di Pechino indicava precisi obiettivi da realizzare; ma ancora oggi l’impegno dei governi italiani che si sono succeduti è stato solo formale e le risposte sono state di carattere demagogico ed emergenziale. Venti Regioni italiane hanno approvato leggi sulla violenza contro le donne spesso senza finanziamenti adeguati e, soprattutto, non è mai stata fatta chiarezza sulla definizione di Centro Antiviolenza, né sono mai stati definiti criteri per le caratteristiche dei servizi e degli interventi delle strutture che devono accogliere donne vittime di violenza e i loro figli. E ancora: le politiche di sistema sono un miraggio. E’ vero che è stata approvata la Convenzione di Istanbul ma senza un quadro articolato di misure in adempimento degli obblighi che sono derivati dalla ratifica, il trattato europeo rischia di restare lettera morta. A questo punto la differenza la potranno fare solo le donne dei movimenti e la politica che saranno in grado di fare.
di Nadia Somma
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